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Necessità di comprendere le nostre tradizioni per salvare e mantenere l'identità cristiana

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Le dodici notti di Natale

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Tuttavia hanno se non altro un merito: ci hanno richiamati tutti all'esigenza di una rifondazione della nostra identità, se vogliamo davvero capire chi siamo e confrontarci con gli altri. Alcuni scopritori d'acqua calda hanno sottolineato, al riguardo, che quella "identitaria" è una "illusione". E senza dubbio lo è, e lo sappiamo bene tutti, se con la parola "identità" s'intende qualcosa di esistente, per così dire, in natura. Come per la nazione, che non a caso è appunto una realtà identitaria, è ovvio che si ha un'identità solo nella misura in cui si vuole averla. Ma tale volontà, d'altronde, non può agire arbitrariamente: deve confrontarsi con il nostro prossimo e remoto passato. Tale passato, se non vogliamo tagliarci le radici rinunziandovi, dev'essere d'altro canto rivissuto e rivisitato ad ogni generazione. Qualcuno teme che, domani, ai nostri bei campanili si sostituiranno i minareti e alle campane i muezzin. Non possiamo certo escludere che tale evenienza possa piacere a qualcuno: essa pare, tuttavia, in sé alquanto remota. Frattanto, però, alle consuetudini della nostra festa d'Ognissanti, con l'annuale commemorazione solenne dei nostri defunti, si va sostituendo il "carnevale macabro" dell'Halloween: e dinanzi a questo snaturamento nessuno dice nulla o quasi. Cerchiamo quindi di non farci scippare anche il periodo natalizio. Che non corrisponde soltanto al giorno di Natale, al quale una volta si giungeva attraverso i quaranta giorni dell'Avvento ch'erano una vera e propria "quaresima d'autunno", culminante nel solenne digiuno della vigilia. Ora che tutto è dominato dallo shopping, si dovrebbe invece reimparare a rileggere come un periodo unitario quelle quasi due settimane che separano il Natale dall'Epifania e che, fino ad alcuni anni or sono, erano una sequenza strettissima e coerente di occasioni di festa e di meditazione. Si tratta, appunto, delle "Dodici Notti" delle quali ha parlato anche William Shakespeare e che si vivevano, nella cultura tradizionale europea, come una sorta di compendio dell'anno. Ciascun giorno, fra il 25 dicembre e il 6 gennaio, aveva un suo valore e corrispondeva a un mese, ma anche a una costellazione e naturalmente a un apostolo. Chi faceva il Presepio, sapeva che le figurine dei Magi andavano piazzate fin dal Natale, ma in lontananza, a dorso di cammello, in carovana. Solo nell'ultimo giorno del ciclo, l'Epifania, alle figure a dorso di cammello si sostituivano quelle in ginocchio e recanti i doni. È ormai noto che il Presepio si ricollega a Francesco d'Assisi e a una "Sacra Rappresentazione" da lui inscenata a Greccio nel 1223: per quanto sia meno noto che, così facendo, il santo intendeva forse rimediare al fatto di non esser potuto andar a Betlemme nel 1219, quando la crociata lo aveva condotto in Egitto. Ma se il Presepio ha un'origine storica, quella dell'Albero di Natale, che avrebbe trovato il suo inizio in una visione di Martin Lutero che si era perduto in una foresta invernale, è frutto della volontà di cristianizzare un uso pagano germanico, quello dell'Albero del Solstizio che si caricava di luci e di ornamenti ma che restava nondimeno un albero, vale a dire - nella tradizione germanica pagana, connessa con usanze sciamaniche desunte dal mondo asiatico - un ponte tra questo mondo e quello sovrannaturale. Chi trovasse qualcosa da obiettare a proposito del mantenimento, in un contesto cristiano, di un uso pagano, dovrebbe ricredersi. L'Albero del solstizio è carico di un altro significato: esso è da porsi in rapporto con l'Albero della croce, frutto del quale è il Cristo. D'altronde anche la data del Natale, che noi celebriamo il 25 dicembre, è "pagana" nelle sue origini calendariali. La Chiesa cristiana del IV secolo doveva confrontarsi con le tradizioni avviate dal cosiddetto "monoteismo solare" favorito dagli imperatori del III secolo. Nel contesto di tale tradizione, il 25 dicembre

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