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Don Chisciotte e i suoi pallidi nipoti di oggi

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Albertazzi, romantico spaccone. Bertinotti, eterno sognatore. Busi, eccentrica faccia di bronzo

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A osservarlo bene, Don Chisciotte è la versione comica di Ulisse: due vagabondi alla ricerca dell'impossibile. Ed è curioso che sia Omero sia Cervantes usino per i protagonisti lo stesso aggettivo: «Ingegnoso». «Un uomo scaltro, dal multiforme ingegno», dice Omero di Ulisse; mentre Cervantes così titola il suo libro: «L'ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia». Al pari di Ulisse, Don Chisciotte ha avuto tanti emuli. Ciascuno di noi ne ha conosciuto almeno uno; o ha scoperto un riflesso di Don Chisciotte nella sua stessa natura. Dei miei cari contemporanei c'è chi chisciotta con successo variabile, a distanza di 400 anni dalla nascita dell'eroe di Cervantes. Il primo nome che mi viene in mente è Albertazzi. Lo vedrei a pennello, Giorgio, nella strana avventura iberica, tra l'hidalgo e lo scudiero Sancho Panza. Ho anzi il sospetto che litigherebbe subito, con la scusa dei mulini a vento. Romantico e un po' spaccone, Albertazzi cominciò presto a prendere a schiaffi la vita. Non è ancora maggiorenne e si imbranca nei disperati battaglioni di Salò, affascinato dal «senso dell'onore» e dal «profilo cesareo» di Mussolini. Forse, partendo dalla natìa Firenze verso il fronte, Giorgio avrà baciato la sua Dulcinea; che annoiata dai lunghi mesi di solitudine, l'avrà tradito con un partigiano sedentario. Ovvio che chi si sente Don Chisciotte a diciotto anni lo rimane per tutta la vita. E com'è giusto, paga scotto per la sua albagia, quando diventa attor giovane con Luchino Visconti. Segnato a dito dai colleghi invidiosi, per anni deve correre fuori pista, senza protettori. È come un Bottecchia solitario al Giro di Francia; se buca una gomma, non c'è un gregario che lo aiuti a cambiarla. In compenso Albertazzi può contare sul conforto delle donne; le quali sono sempre dalla parte dei «maudit», e quando occorre li proteggono nelle loro belle dimore, a dispetto o all'insaputa dei mariti. Ormai prossimo agli ottant'anni, Giorgio è un bellissimo vecchio, capriccioso come il sor Todaro goldoniano, e vanitoso alla maniera di Oscar Wilde. Wilde oppure Casanova? Un po' l'uno e un po' l'altro; anche perché quei due dandy erano pur sempre eredi dell'hidalgo della Mancia. * * * Passando dalla commedia dell'arte al teatrino della politica, non è facile trovarvi dei sognatori alla Don Chisciotte. Il leader di partito dev'essere per forza pratico, positivo e un poco cinico. Ma anche qui c'è un possibile hidalgo, Bertinotti, il Fausto dalle belle maniere e dalla erre aristocratica. Figlio d'operaio, ha raccontato che da ragazzo era incantato dalle Muse, divorava i romanzi d'avventura, Salgari e Walter Scott erano i suoi prediletti. Poi venne la cotta per Stendhal, il diplomatico che si sentiva milanese e s'infiammava per donne volitive e ardenti. Naturalmente l'energia del giovane Fausto si esprimeva soprattutto in metafore, con un uso innovativo della parola. Lui parlava sempre, senza tregua: a casa, a scuola, in tram. Dopo l'apprendistato in fabbrica, Fausto si fa largo come difensore dei diritti altrui, e diventa sindacalista. Ma in questo ruolo deborda, travalica ogni steccato, non si contenta mai delle offerte dei padroni, e come ogni giocatore di poker, rilancia, rilancia. «Bravo nel rilancio lo era di sicuro - ricorda Cofferati il Cinese - ma sta di fatto che lui i contratti non li chiudeva mai, eravamo sempre noi a metterci la faccia e la firma». Lui vestiva i panni dell'hidalgo. Ma il successo pieno, diceva un filosofo, arriva sempre dopo una sequela di sconfitte. E difatti, ormai stempiato e un poco presbite, Bertinotti ha raggiunto la mèta che si era prefisso: guidare un esercito di sognatori, di anime in movimento. Perciò li ha chiamati «movimentisti». Nessuno può dire oggi dove arriveranno, ma intanto sono in marcia, tuta bianca e zaino in spalla; e l'impavido Fausto è avanti a tutti con la sua bandiera. Una bandiera

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