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Placido Domingo dirige il suo autore preferito e gli rende omaggio interpretandolo sulla scena

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Sarà lui a dirigere la «Butterfly» del Centenario. E sarà di nuovo lui a interpretare Puccini, nella rassegna delle eroine e immortali melodie che saranno evocate in una notte che si annuncia densa di suggestioni. Nella cornice di quel paesaggio lacustre che il compositore amava profondamente. Maestro,che cos'era per Puccini l'opera? E come nascevano le sue eroine? «Direi che dietro tutto c'è la potente molla dell'amore. Sia il Puccini del tenero, sentimentale romanticismo bohémien sia quello che si cimenta in una fiaba non priva di tonalità fosche come la "Turandot", è un innamorato che crea. La genialità dell'artista è strettamente legata allo slancio affettivo; la rappresentazione lirica si coniuga a un pathos che ha bisogno di effondersi. Musica e canto rispondono armonicamente a questa impetuosa vitalità». Con tante donne, tutte diverse... «Tutte sono parte, comunque, dell'"eterno femminino" e del suo mistero. Ai quali Puccini si accosta con grande complicità. Lui "sente" le sue protagoniste. Vive di loro, in loro, partecipa delle loro emozioni». Ed è un racconto universale, eterno, fuori dal tempo? «Certo: niente di quel che Puccini racconta può aver fine. Finché il cuore continuerà a battere di amore e di trepidazione, di tensione e di disperazione, Puccini continuerà a incantare folle e folle di spettatori». Tuttavia i suoi personaggi nascono entro precisi contesti storici e culturali... «Sì, ma con capacità di proiettarsi sull'attualità. Del resto è questo il segreto dell'arte, quando è tale: riuscire a parlare all'uomo, alla sua intelligenza e alla sua sensibilità, per sempre, incarnando dei caratteri universali». Cos'è che affascina tanto di "Butterfly"... «In lei c'è tutta la fragilità della donna, della farfalla che prende il volo piena di entusiasmo. Poi, quelle ali variopinte si spezzano. Ma non si spezza la Butterfly, ed è nel suicidio rituale che viene fuori quel "di più" eroico che è nella donna, insieme alla sua tenerezza». E un personaggio come "Manon Lescaut", a quale orizzonte femminile appartiene? «Il rinvio all'attualità può scattare immediatamente. Oggi non sono poche le donne che vogliono un giovane amante - e sono capaci di legarsi a lui in un vincolo di amore e di morte - ma cedono anche alle lusinghe di un vecchio e ricco protettore. Salvo poi scommettere su una fuga, che si rivelerà tragica. Puccini è un grande esploratore dell'animo femminile. Ne intuisce la complessità». Par quasi che di fronte a certe donne straordinarie, gli uomini ci facciano una ben misera figura. «Beh,se pensiamo alle "Villi" e a "Madama Butterfly" abbiamo indubbiamente delle immagini maschili contrassegnate in negativo. Ma nella "Turandot", l'eroe positivo è Calaf». Maestro, dirigere non è la stessa cosa di cantare... «Sono due interpretazioni, molto diverse tra loro. Le vivo con grande partecipazione emotiva: forse, però, guardare il pubblico in veste di attore mi crea maggiori tensioni. In ogni caso, Puccini mi ha donato tanto ed è come se ogni volta avvertissi l'impegno di dargli tutto me stesso».

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