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Il futuro non prevede la libertà

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WINTERBOTTOM approda alla fantascienza. Con l'abituale pessimismo sulle sorti dell'uomo («Jude», «Wonderland»). In un futuro globalizzato tutti sono schedati da una compagnia di assicurazioni che consente soggiorni e spostamenti solo a chi ha una copertura assicurativa, relegando gli altri in zone periferiche presto trasformate in deserti. Naturalmente c'è chi falsifica quelle coperture, così un impiegato della compagnia (Tim Robbins) è inviato da Seattle in una avveniristica Shanghai per scoprire una frode che si era là verificata. A compierla era stata una donna (Samantha Morton) che l'altro non denuncia perché se n'è innamorato. In quegli ambienti, però, in cui si vigila su tutto, anche l'amore, se illecito, finisce male. Lo schema narrativo, dovuto a Frank Cottrel Boyce, lo sceneggiatore abituale di Winterbottom, è un po' troppo carico di situazioni contorte, specie quando la fantascienza si propone con ipotesi di futuro. I climi, però, che la regia è riuscita a suscitare, grazie anche a scenografie volutamente asettiche pronte a spaziare senza fratture dall'India, alla Cina, all'Arabia, sono quanto mai coinvolgenti. Con tensioni che opprimono, con atmosfere che tendono solo a evocare cappe di piombo su tutto, segnando al nero quell'impossibile storia d'amore che si evolve tra complicazioni ed ostacoli, motivati soprattutto dal contorno ossessivo. In un mondo in cui l'ordine imposto dall'alto genera solo lacerazioni e disordine interiore. Senza possibilità di resistervi. I due protagonisti lo dimostrano. Annientati anche quando non se ne rendono conto. Perché, privati dalla libertà, vengono privati anche della memoria. G. L. R.

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