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Due fazioni minoritarie si scannarono senza pietà

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Ma non c'era verso seppure concordassero su tante cose. Infine capirono che erano su due piani diversi e che non avrebbero più potuto incontrarsi. Si ritrovarono unicamente solo nel gettare la loro vita, e in fondo è gran cosa la vita di un uomo, per questa loro idea». Poi, prima di lasciarsi, il partigiano Aramis dice al tenente di vascello N.: «Proprio non ti andrebbe di venire con noi? Noi combattiamo per la libertà, No, rispose N., non mi va. Noi combattiamo per questo. E indicò la striscia sulla manica sinistra». Sulla manica delle divise della X Mas, per chi non lo sapesse, c'era il motto «Per l'onore». Questo il dialogo, chissà quanto reale, chissà quanto immaginario, di certo simbolico, che descrive Enrico de Boccard, il barone Enrico de Boccard, nel racconto La lettera che fa parte di un suo libro, a mio giudizio uno dei più belli sulla guerra civile, pronto nel 1948 col titolo Morti e mitra, pubblicato nel 1950 come Donne e mitra, ripubblicato nel 1995 come Le donne non ci vogliono più bene. Una rappresentazione cavalleresca, idealistica e a suo modo romantica della guerra tra due fazioni di italiani, così come l'aveva interpretata, vivendola di persona, quell'avventuroso aristocratico che dopo l'8 settembre aveva scelto «per l'onore» la Repubblica al Nord e non aveva seguito, come molti, il Re al Sud. Questi i sentimenti, poco dopo il conflitto, ancora «a caldo» dei militi della RSI, sprezzantemente definiti dagli avversari «repubblichini». Di peggio: «figli di stronza», come li qualifica l'ex fascistissimo Elio Vittorini in Uomini e no, pubblicato nel 1945 quando ancora le armi non avevano finito di crepitare (dopo il 25 aprile ci sarebbe stato ancora il «sangue dei vinti», con le vendette private e le condanne a morte). Odio, rabbia, disprezzo, rancore: non c'è nulla di tutto questo nelle storie di Enrico de Boccard. Quello che risalta, invece, è ben altro: il confronto sanguinoso tra due fazioni minoritarie di italiani diversi dalla grande massa amorfa: «Dal Lago al Fiume e sui monti, Repubblicani e Partigiani si combattevano ognuno per quella cosa che aveva dentro di sé e che per gli altri non andava bene». Quali altri? Non c'era solo chi si sparava addosso per una idea diversa, per una visione del mondo diversa, ma anche tutti gli altri, la maggior parte: «Chiamati da radio clandestine che indicavano la dislocazione dei reparti repubblicani, i grandi argentei quadrimotori bombardavano indiscriminatamente le città, così che al suonare del cessato allarme, sotto le macerie delle case ov'erano stati sorpresi dalla sirena o nei deboli rifugi gli uomnini e le donne che non avevano niente nel cuore morivano lo stesso, inerti e abulici nel loro odio per tutto il mondo, per tutta la vita, per tutte queste cose di cui non capivano il perché». E sempre Enrico de Boccard che parla in Fine del Diario Storico, breve romanzo che conclude il suo libro. De Boccard, e tanti con lui, avevano già allora la percezione precisa dei fatti: l'esistenza di due opposte minoranze (due élites, se vogliamo) che avevano «quella cosa dentro di sé» ed una maggioranza che «non avevano niente nel cuore». La «zona grigia» di cui parlò per primo Renzo De Felice in Rosso e Nero del 1995, quasi cinquant'anni dopo, a dimostrazione che la «lotta popolare», l' «insurrezione nazionale» erano un bel mito, creato a posteriori e nulla più.

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