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Michel Piccoli: «Cechov sono io»

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Un'occasione unica per Piccoli, entusiasta di essere stato scelto ancora una volta da Brook dopo il testo tedesco «Il vicario», incarnato accanto a Natasha Parry, moglie del regista e qui interprete del personaggio femminile, e dopo «Il giardino dei ciliegi» realizzato nel 1981. La sfida da affrontare per seguire i consigli del maestro consiste nell'impegno a non recitare, ma a essere i protagonisti di un sentimento sublime idealizzato in virtù della distanza fisica: l'epistolario non sarà né letto né interpretato, ma inventato e vissuto nella suggestione scenica. Misurato, ironico e vivace nonostante si stia avvicinando alla soglia degli ottant'anni, Piccoli esordisce con una battuta: «Non posso parlare dello spettacolo perché non l'ho visto. Gli attori non possono guardare il loro lavoro e quando Brook vedrà le nostre repliche resterà deluso e ci dirà di andare a Palermo», alludendo così all'annullamento decretato giorni fa dallo stabile siciliano. Come vi siete confrontati con la messa in scena di una corrispondenza? «Le lettere sono parole scritte per un altro che deve leggerle. Ogni destinatario ascolta il suo mittente. E cos'è il teatro se non un dialogo? La scrittrice americana Carol Rocamora ha elaborato questo testo trasformando uno scambio epistolare in un dramma teatrale e Brook ha pensato a Natasha Parry e a me per costruire il suo spettacolo. Ha voluto puntare sull'intimità racchiusa nell'amore fra i due artisti incoraggiandoci a cercare in noi emozioni e sentimenti suscitati dalla lettura delle loro missive». Cosa significa per lei essere Cechov? «E' molto più importante che recitare un suo testo. Dopo "Il giardino dei ciliegi" è stato appassionante vivere gli aspetti reconditi dell'autore e non della sua opera. Mi domando continuamente cosa direbbe Cechov se vedesse questo lavoro. Chissà se verrebbe a darmi la mano! Lui è morto a quarantaquattro anni e io ho visibilmente passato quell'età, anche se non nella testa, ma Brook non intendeva rendergli omaggio. Il suo intento era esaltare il godimento estremo che può nascere fra due persone. Cechov era medico e malato, autore di teatro e di novelle, critico e giornalista, si occupava dei mali del mondo e nutriva attrazioni speciali per le donne. Tutte le sue molteplici intelligenze sono in queste lettere e il suo amore per Olga, ostacolato dalla lontananza causata dalle sue tournée come attrice, non è banalizzato dalla quotidianità». Quali suggerimenti vi ha fornito Brook? «Non voleva una ricostruzione storica, ma una maniera di far rivivere un legame meraviglioso e folgorante tra due esseri umani. Si tratta di scoprire e non di interpretare. Bisogna capire la vita dell'altro attraverso le lettere, un mezzo di comunicazione segreta e immensa che il virtuale non potrà mai rappresentare e sostituire. Io devo parlare al posto di Cechov e non recitarlo. Brook è un uomo paziente e delicato, ma anche bruscamente autoritario e quasi violento. Sa però comprendere il silenzio che a volte è più espressivo delle parole. Mastroianni possedeva questo segreto, mentre Gassman era un interprete splendido, ma non sapeva rinunciare all'orgoglio di essere attore. L'immaginazione di Brook mi sta insegnando il desiderio e il piacere di essere me stesso sulla scena».

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