Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di MARIO BERNARDI GUARDI È VERO: «La freccia nera» ha assai poco a che fare con «L'isola ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Hyde», e non si può dar torto a Robert Louis Stevenson allorché prendeva le distanze dal suo romanzo, considerandolo una cosa senza valore, una storia «così», che aveva scritto per divertimento e che non rileggeva mai. Proprio lui che, invece, amava tornare e ritornare sulle sue opere, inseguendo e ritrovando ragioni ed emozioni che gliele avevano fatte partorire. In realtà, non c'è da infierir troppo sulle avventure di Dick Shelton, ambientate in Inghilterra al tempo della Guerra delle Due Rose, con i buoni e i cattivi che fanno la loro parte, gli amori e gli odi, le amare scoperte che fanno crescere e scegliere, le divampanti battaglie, i folgoranti incontri e scontri. Le appassionanti vicende del giovane Dick, allevato da un malvagio tutore contro cui imbraccerà le armi insieme al popolo oppresso, vanno collocate nella loro dimensione naturale, che, una volta tanto, è senza ambiguità e senza ammiccamenti al mondo degli adulti, o messaggi ambigui, o allusioni, o codici plurali da decifrare. Dunque, venture e sventure dei guerrieri della foresta devono esser sigillate con l'appropriato contrassegno di «libro per ragazzi» e basta: ci si accorgerà così che il modo migliore per scagliar la freccia nel modo giusto, è quello di ritrovare il cuore di una volta e lasciarlo libero di fantasticare. Anche se la fantasia è ben sorretta dalla storia e la penna dalla mano di un autore che sa il fatto suo e ha comunque uno «stile», sempre affascinante, sempre trascinante. «La freccia nera» è un libro che si legge con piacere proprio perché non ci costringe a interpretare, non ha percorsi segreti da esplorare, non chiama alla prova multiformi ingegni, armati di criptiche chiavi di lettura. Qui è tutto palese, ed è probabile che l'inquieto e inquietante Stevenson, attratto dai viaggi per mare come da quelli nelle contrade della coscienza, e con lo spirito affinato dai mali del corpo e la sensibilità acuta e turbinosa, si meravigliasse con se stesso per essersi, davvero, «divertito». Abbandonandosi all'invenzione, per carità, con tutto il rispetto possibile per date, dati e caratteri, ma di sicuro fuor dal viluppo dei pensieri torbidi e tortuose, e delle conseguenti allucinazioni. «Last but not least», rileggere «La freccia nera» propizia un balzo cromatico-anagrafico, perché ci rituffa negli anni verdi: infatti, le pagine hanno una relativa «autonomi»", mescolate come sono alle immagini del mitico romanzo sceneggiato tv. E chi non lo ricorda? Si era nel '68(formidabili quegli anni? Capanna ha ragione: si faceva ancora televisione!), il bianco e nero televisivo era «coloratissimo», Anton Giulio Majano pescava dalle biblioteche tutto quel che poteva ad uso e consumo degli spettatori, Loretta Goggi ed Aldo Reggiani erano ragazzi come noi, e dappertutto volavano frecce. Di guerra e d'amore.

Dai blog