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Mercoledì all'Auditorium di Roma il cantautore irlandese innamorato del blues

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VanMorrison

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Mercoledì prossimo il loro leader, che dal 1966 svolge attività solista avvalendosi di continui cambiamenti di organico, torna all'Auditorium Parco della Musica di Roma per il terzo appuntamento della rassegna «Santa Cecilia It's Wonderful - Trittico di stelle» (lo spettacolo è promosso in collaborazione con l'Assessorato alle Politiche Culturali del comune - Festival Angeli sopra Roma). Il rocker irlandese torna dopo la non entusiasmante esibizione della scorsa estate ad Umbria Jazz. Una serata da dimenticare. Il cantante e polistrumentista presentò un repertorio decisamente routinier, trovando il tempo di prendersela addirittura con il pubblico. Un episodio che sembra confermare il proverbiale caratteraccio del bluesman, forse peggiorato nel corso degli anni, e la sua immagine di artista smanioso, solitario ed eternamente insoddisfatto di sé, forse alla ricerca di un rilancio ormai tardivo. Notazioni che non scalfiscono di certo la sua storia, il suo background e il suo illustre passato. Il debutto discografico dello scorso inverno con la prestigiosa etichetta Blue Note avrebbe dovuto assicurarne il ritorno in grande stile, grazie ad un marchio di sicuro richiamo jazzistico e vicino alle ultime tendenze in fatto di pop-adult, genere musicale che induce ad un ascolto soft e che ha fatto di alcune voci country-blues, come Norah Jones, dei successi planetari. Il suo concerto è incentrato sui brani dell'ultimo album, «What's wrong with this pictures?», anche se le aspettative sono tutte per i classici dei Them («Gloria», «Here comes the night», «Mystic Eyes», «Baby please don't go»), brani eccitanti ed infuocati, resi con un'attitudine punk, e per gli album fondamentali, come «Astral weeks» del '68, «Moondance» del '70 o «Saint Dominic's preview» del '72, in cui, nel brano omonimo, Morrison si affida ad uno straniante giro di parole prima di dedicare il suo pensiero ad una marcia per la pace in Irlanda del Nord a cui ha assistito da bambino. Un argomento che raramente tornerà nelle sue canzoni. La dimensione live resta, ad ogni modo, quella a lui più congeniale, basti ricordare «It's too late to stop now», giustamente considerato uno dei migliori album dal vivo di tutti i tempi. Sul palco Van Morrison sciorina abilmente le sue capacità al sax alto, alla chitarra, al clarinetto e all'immancabile armonica a bocca, citando continuamente influenze e ascendenze artistiche e quel miscuglio di generi confluiti nel cosiddetto "soul celtico", etichetta coniata appositamente per lui. Le radici dell'artista cresciuto a Belfast in una famiglia di spiccati interessi musicali (i genitori erano titolari di un negozio di dischi), ascoltando temi di Leadbelly, John Lee Hooker, Hank Williams, Ray Charles e Sydney Bechet, affondano nel folk mistico delle leggende irlandesi. Preda di scorribande ed impeti vocali, Morrison si ispirava, in realtà al soul gentile di Sam Cooke a cui dedica «Get on with the show» contenuta nell'ultimo album. I ricordi d'infanzia, la ricerca interiore, le rime di Yeats e le citazioni dai suoi poeti preferiti come William Blake, John Donne, Rimbaud, sono i suoi riferimenti lirici, tra poesia simbolista, spiritualità dogmatica e folklore magico dell'antichità della sua terra. Ad ogni tentazione stilistica, comprese quelle più fuorvianti, Morrison non ha mai perso di vista la sua dimensione irish, alla base del suo intimismo e della sua energia. Nel nuovo disco non perde occasione per ruggire ancora e per fare chiarezza sulla sua missione: «Canto jazz, blues e funk. Non è rock'n'roll, ma folk con ritmo e un po' di soul». Ecco allora l'introverso musicista di Belfast che planando quarant'anni fa sulla scena londinese, ebbe la capacità di imporsi come talento e personaggio, al punto da attirare l'attenzione di Paul Mc Cartney, diventato ben presto il suo primo fan. L'attesa dei fans romani è tanta - si esibì per la prima volta nella capitale nel 1983 -

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