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«Capitani coraggiosi» Lezione di vita

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Molti modi e molti toni. Il peggiore è quello predicatorio. Si tirano fuori le «esperienze» e si incomincia a sbandierarle come fossero esempi e norme. Che noia mortale, l'esperienza degli adulti! Cappa di piombo, cappio al collo, catena. Quando, per dir così, basterebbe la parola. E cioè basterebbe tener conto, etimologicamente, di quel che esperienza significa davvero. E allora «experior», con la preposizione «ex» ci dà l'idea di un'azione dalla quale deriva qualcosa; e il «perior» rinvia a «parior» che vuol dire partorire, generare, portare alla luce. A seguito di un travaglio tutto nostro. Insomma, l'esperienza non la dobbiamo «ascoltare», la dobbiamo «fare», «vivere». Sperimentare non significa muoversi timidi e circospetti per paura di inciampare, ma inciampare, sbucciarsi le ginocchia, rialzarsi. Ed ecco allora perché bisogna leggere Kipling. Infatti, lo scrittore anglo-indiano ci invita ad essere coraggiosi, sperimentando le leggi della vita, che sono dure. Ragion per cui non abbellisce la realtà, non fa sconti ai suoi personaggi, non li coccola, ma li fa soffrire. Convinto che soffrire serva a scoprire. Chi si è, quello di cui siamo capaci. Bisogna guadagnarsela la stima della vita. Ma ecco che ci siamo messi anche noi sulla strada della predica. La abbandoniamo subito,per scegliere quella dell'«avventura».E cioè del percorso di conoscenza affidato a prove sempre più difficili. Pensiamo a Mowgli del «Libro della giungla». Oppure a Kim. Nulla è facile per loro, anche perché, nei differenti intrecci delle storie, sono comunque due ragazzi. E allora bisogna darsi da fare. Energia, intraprendenza, coraggio fisico, astuzia, diffidenza: cose da portarsi sempre dietro e dentro. La vita te le impone: e tuttavia bisogna ricordarsi che i codici della natura e i codici degli uomini che hanno rispetto per la natura non prevedono la slealtà. Si può essere duri e spietati: vili,no. Il «barbaro» Rudyard inventava trame avventurose e personaggi: ma è lui il primo protagonista delle sue storie, perché la carne, il sangue e l'anima dei suoi eroi sono, prima di tutto, un «contrassegno» suo. Gli appartengono e lui li rivendica,come fa con la sua immagine di un'Inghilterra imperiale e con l'ideologia «sana» e «virile» di cui si fa alfiere. E che è più che mai esaltata in «Capitani coraggiosi». Classica storia di esperienza/esperimento. Con l'insopportabile ragazzino ricco, abituato ad aver tutto, ed anche di più, senza neppure dover fare la fatica di chiederlo. La Provvidenza vuole che durante un viaggio cada in mare e che venga ripescato da una goletta di pescatori nella zona dei Banchi di Terranova. Urge un apprendistato alla vita. Dapprima sprezzante e recalcitrante, il quindicenne Harvey Cheyne, finisce col rendersi conto che valgono più i dieci soldi e mezzo di paga, ottenuti dopo tre mesi di diligente lavoro svolto insieme ai pescatori, di tutte le ricchezze che si possono avere a disposizione senza muovere un mignolo. È morale antica, questa, e vien riproposta in mille modi nei libri per ragazzi(e per adulti): basti pensare a «Pinocchio» che, per aiutare Geppetto, si ammazza di fatica. Qui Harvey deve aiutare solamente se stesso a diventare «persona»,facendosi i muscoli e diventando «responsabile». L'avventura l'ha buttato in mare perché rischio e salvezza preparassero la «lezione». E Harvey la lezione la impara nel modo migliore e cioè mentre «la svolge», da piccolo capitano coraggioso, a pesca- e non solo di pesci - sull'Oceano dai mille colori.

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