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di PAOLO CALCAGNO «LIBRI e cazzotti» sono stati sferrati da Tullio Pironti, editore napoletano, ...

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L'abilità e la tecnica nello schivare i colpi (e i «bidoni») gli hanno permesso di centrare spesso il «colpo» vincente, ma i ko (subiti) non sono mancati nella «Vita piena di pugni» del 66enne editore, come si intitola la sua autobiografia tra poco in libreria. Pironti, lei salì sul ring a 15 anni e fece boxe fino a 21. Poi, il primo ko. Perché, dopo circa 50 incontri, quasi tutti vinti, abbandonò alla prima sofferenza? «Feci bene a lasciare, perché chi si ostina a continuare, spesso, diventa suonato: i cazzotti danneggiano molto il cervello. E, infatti, il mio un po' non funziona». Com'era la boxe ai suoi tempi? «Eroica. Spesso andavamo a combattere sulle navi americane, nel porto di Napoli. Il più delle volte serviva un peso massimo e a Napoli c'era Giuseppone che viveva in un casa chiusa e non si allenava quasi mai. Aveva un tariffario: se veniva pagato poco, andava giù alla prima ripresa; se la paga era discreta, durava fino alla seconda; se era buona, vinceva il match. L'ultimo grande pugile è stato Cassius Clay, indimenticabile. In Italia gli ultimi grandi sono stati Mazzinghi e Benevenuti. Io preferivo Mazzinghi, che era veramente un gladiatore, anche se somigliavo di più a Benvenuti, un grande tecnico» Che cosa le ha dato la boxe che, poi, le è stato utile come editore? «L'incoscienza. Pubblicare libri è come il gioco della roullette: punti su un titolo, ci credi, ma spesso ti sbagli. Nessun editore in Italia può dire con sicurezza questo titolo diverrà un best-seller. Il mio più grande fiasco è stato «Patto d'amore», il libro sul cannibale giapponese che divorò le parti erotiche di una ragazza olandese: in Giappone aveva venduto un milione di copie, in Italia solo 50». Il libro di cui va più fiero? «"Il camorrista" di Giò Marrazzo, lo inventai io. Poi, ci furiono le 100mila copie di "In nome di Dio", sulla morte di Papa Luciani. Ma il libro più difficile da prendere, per me, è stato "Meno di zero" di Bret Easton Ellis, grande esponente del "Minimalismo" americano. Nell'88 partecipai all'asta telefonica con l'agenzia letteraria Linder, avevo contro Mondadori. Vinsi io, perché oltre il tetto di 50 milioni di lire, a quel tempo, in Mondadori dovevano riunire il consiglio d'amministrazione. Io offrii 51 milioni e li fregai. Fernanda Pivano volle conoscere il piccolo editore napoletano che aveva battuto il colosso Mondadori. Accettò di scrivere gratis la prefazione del libro. Inoltre, mi segnalò il più grande degli scrittori americani del nostro tempo: Don De Lillo. Ottenni un contratto di 7 anni e stampai 7 titoli di De Lillo. Poi, con Fernanda siamo diventati amici. Qualche anno fa pubblicai i suoi incontri, da Allen Ginsberg a Andy Warhol». Il libro che si è pentito di non aver pubblicato? «Licio Gelli, quando era latitante, mi propose il suo diario "La mia Loggia". Ci fu un incontro notturno nelle campagne intorno a Bologna. Pagai l'anticipo a scatola chiusa e presi il dattiloscritto. Mi aspettavo denunce a raffica, nomi eccellenti, invece era solo la sua autodifesa. Non lo pubblicai. Persi centinaia di milioni per un atto di etica. Oggi, quei soldi mi farebbero comodo». L'autore che sogna di pubblicare? «Guido Ceronetti».

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