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PRIMO AMORE, di Matteo Garrone, con Michela Cescon e Vitaliano Trevisan, Italia, 2004.

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Con una storia altrettanto dura che rischia, questa volta, di respingere lo spettatore. Risolta però con un cinema asciutto, affidato a stati d'animo via via trasformati in ossessioni patologiche. Il protagonista, infatti, è un orafo che, avvezzo a forgiare, anche fisicamente, una persona, così quando si lega a una donna, conosciuta tramite un annuncio, decide, anche se è già magra, di farle perdere ulteriormente di peso, fino a ridurla a pelle e ossa. È assecondato perché, nella donna, si è fatto strada anche un amore pronto ad ogni dedizione, ma i nodi alla fine verranno al pettine. E la soluzione, anche se tenuta in sospeso, farà intuire il dramma. Distruttivo. Si procede adagio. Prima l'incontro dei due, poi la decisione di mettersi insieme isolandosi in un casale, quindi, sempre più incalzanti, i tentativi di lui di modellare lei lesinandole il cibo, controllandone il peso e infuriandosi se, in qualche rara occasione, la vede trasgredire. Sotto i morsi della fame. La costruzione narrativa in alcuni passaggi è addirittura ellettica e i modi per rappresentarla, pur rasentando in certi dialoghi un sospetto di letteratura, tendono persino, nella loro immediatezza, a ricordare il cinema-verità. Anche quando le immagini, invece, tendono ad essere molto elaborate, sia negli esterni — una campagna vicentina attorno ricreata con senso pittorico —, sia negli scontri in interno fra i due, con primi piani figurativamente molto studiati. Vi corrispondono un'attrice che viene dal teatro, Michela Cescon, e un esordiente, Vitaliano Trevisan, noto romanziere e qui anche co-autore del testo. Un duetto tragico.

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