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Il rabbino della conversione

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Dicevo a me stesso: Gesù non è forse figlio del mio popolo? Non è lo spirito del nostro stesso spirito? D'un tratto e senza sapere perché posai la stilografica sul tavolo e, come in estasi, invocai il nome di Gesù». Sono frasi di Israel-Italo Zoller l'ex Rabbino Capo di Roma che alla fine della seconda guerra mondiale - e dopo la bufera antisemita del nazismo - decise di farsi cattolico, cambiando il suo cognome in Zolli. Una vicenda sconvolgente e inaudita che mise a rumore gli ambienti ebraici mondiali come quelli cristiani ma sulla quale è calata una cortina di impenetrabile silenzio. Troppo "teologicamente scorretta" per gli schemi attuali, troppo provocatoria rispetto alla trama di rapporti interconfessionali sempre sull'orlo di una crisi, troppo complicata rispetto alla storiografia ufficiale. È una figura di cui gli ebrei non vogliono sentir parlare e che, paradossalmente, mette in imbarazzo persino la Santa Sede e la Chiesa cattolica, legata com'è, per un verso, ad un misterioso e sorprendente cammino di conversione e, per l'altro, al Papa più calunniato del XX secolo, a quell'Eugenio Pacelli, Pio XII, messo alla sbarra per il suo "silenzio" sullo sterminio del popolo ebraico. Eugenio Zolli continua così ad essere pietra dello scandalo. Nasce nel 1881 a Brody, nella Galizia polacca controllata dall'impero russo. Nel 1904 si iscrive all'Università di Vienna per trasferirsi poco dopo a Firenze dove si laurea in filosofia. Diviene gran rabbino di Trieste nel 1938. A Padova insegna lingue e letterature semitiche. Cresce, libero da correnti ideologiche o pregiudizi religiosi, l'interesse per il Nuovo Testamento. Nel 1935 nel volume «Israele: uno studio storico e religioso» Zolli muove una serrata critica al legalismo ebraico e all'amore della legge che scivola in un feticismo arido e paralizzante. Nel 1938 il secondo, inatteso e stupefacente volume: «Il Nazareno», volto a dimostrare la perfetta coerenza fra la figura di Gesù e tutta la tradizione profetica dall'Antico Testamento. La predicazione di Gesù ha solidissime radici ebraiche che superano, per profondità spirituale e radicalità la stessa Thorà. Nel 1940 Israel-Italo Zoller viene chiamato a Roma in qualità di gran rabbino. Sa che la sua comunità è in pericolo. Ma è inascoltato. È testimone attendibile della grandezza umana e spirituale di Pio XII. Nella festa della Yom Kippur (1944) ha, nella Sinagoga, una visione mistica: «Sei qui per l'ultima volta. D'ora in poi seguirai me». Il 13 febbraio del 1945 nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli riceve il battesimo. Sceglie il nome di Eugenio per riconoscenza verso il Papa che aveva salvato centinaia di migliaia di ebrei, italianizza il cognome in Zolli. «Gli fu fatto, da allora - racconta lo scomparso cardinale Paolo Dezza - il vuoto intorno. Il nome di Zolli fu addirittura cancellato dall'elenco dei rabbini di Roma, il settimanale ebraico uscì listato a lutto». Zolli muore quasi in povertà nel 1956. La sua storia continua ad essere, a mezzo secolo di distanza, un nervo scoperto nei rapporti fra ebraismo e cristianesimo. «Vedrai - confiderà un giorno alla figlia Myriam - vedrai, faranno di Papa Pacelli il capro espiatorio del silenzio che tutto il mondo ha mantenuto dinanzi ai crimini nazisti». Mai profezia fu più azzeccata. Nel 1963 lo scrittore tedesco Rolf Hochhuth con «Il Vicario» scatena la campagna contro "i silenzi" della Chiesa di Roma. Si aprono gli archivi e un team di ricercatori gesuiti guidati da padre Robert Graham smantella punto per punto le tesi di un Papa filonazista o colpevolmente inattivo di fronte allo sterminio degli ebrei. Ma la causa di canonizzazione di Pacelli resta ferma, nel senso che è pronta ma non si trova chi abbia il coraggio di portarla davanti al Papa per decidere la data della beatificazione. Nell'autobiografia di Zolli «Before the down» («Prima dell'alba») c'è la chiave interpretativa dell'atteggiamento di Papa Pacelli. Che doveva fare? Trasci

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