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I figli (imprevisti) della Rivoluzione Il riscatto di una donna prigioniera che cede ad un uomo nel carcere del Terrore

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Ci si riferisce a «Marie Victoire» in quattro atti e cinque quadri, composta tra il 1912 ed il '13 dal giovane maestro bolognese, il cui soggetto trasse dal dramma omonimo (1911) del giornalista e sceneggiatore, e nel caso librettista, Edmond Guiraud (1879-1950?), mezzacalzetta francese affatto sconosciuta oggidí. «Marie Victoire», ancorché compiuta, non venne portata sulle scene - in precedenza erano stati in lizza anche la Scala di Milano ed il Regio di Torino - in ragione dello scoppio della prima guerra mondiale, che rese fin da súbito l'Italia piú povera: raggelate le anime. Ora spetta alla direzione musicale di Gianluigi Gelmetti, che la partitura certifica d'aver studiata a lungo ed in profondità cavandone meraviglie e diletti squisiti, ed alle cure sceniche del regista, scenografo e costumista argentino Hugo De Ana (che reputa il plot una sòrta di groviglio inestricabile: di telenovela venezuelana con una ventina di personaggî), affiancati da un cast vocale donde emergono lei, il soprano Nelly Miricioiu nel ruolo del titolo, lui, il baritono Alberto Gazale nel marito cocu, e l'altro, il tenore Alberto Cupido nello spasimante infoiato: spetta a loro svelare della «Marie Victoire» i pregî, e le eventuali manchevolezze, ché niente è perfetto a questo mondo: sovrattutto nell'opera italiana dell'Otto e Novecento. Gli accidenti della trama s'inarcano dal 1793 al 1800, dai fuochi della Rivoluzione francese all'irresistibile ascesa del Bonaparte. In breve, tenuto per morto il consorte e vittima del Terrore, la Marie sta in prigione, per di piú soffocata dalle allupate mire di Clorivière. Lui insiste, lei resiste. Resiste, ma quando un giorno legge il proprio nome nella lista dei condannati al patibolo, si sa, un momento di debolezza, una défaillance degli stremati organi che presiedono alla ragione, uno scricchiolío del recinto etico, in somma cede. Cede al lupo. Che non tarda un istante ad avventarsi sulla preda inerme. Va da se, adempiutosi il fattaccio, la mattina seguente lei vorrebbe morirne: di vergogna, nel pentimento, per redenzione. Ma ecco, esplodono clangori d'esultanza: Robespierre è caduto! il Terrore s'agnella! Tornano la normalità e la libertà: eccessivo suicidarsi per un notturno sobbalzo della carne, valúta lei. Trascorrono sei anni: ritroviamo Marie - si fa chiamare Victoire, ad evitare discare colleganze - intenta a far la vendeuse a Palazzo reale. Accanto un frugoletto: il concepito nella notte delle nebbie. Forse manco male, ormai, se tutt'ad un tratto non apparisse il marito creduto morto, e che morrebbe d'infarto se non fosse atto a sostenere quella panoramica famigliare poco o punto armoniosa. E sarebbe un quarantotto, anticipato di quarantott'anni, se non accadesse che, fallito l'attentato a Napoleone, l'amante-padre-fellone si suicidasse, sí che Victoire, un po' passata la festa, un po' gabbato lo santo, riallaccia il già menelaizzato sposo ad antichi, onorati tepori. Mentre, fuori scena, il pargoletto non sarà azzardato congetturare che titubi un bel po'. D'un papà.

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