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LE CINQUE VARIAZIONI, di e con Lars von Trier e Jorgen Leth, e con Jacqueline Arenal, Daniel Hernández ...

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LARS von Trier ama gli ostacoli. Lo ha dimostrato frapponendone a bizzeffe al suo modo di far cinema con i dettami ferrei del suo Dogma 85, anche se li ha poi tutti disattesi nel suo recente e discutibile «Dogville». Oggi ne inventa dei nuovi, a carico (o in favore) di un suo collega, Jorgen Leth, celebre documentarista danese, autore nel '67 di un documentario di 12 minuti, «The Perfect Human», sui comportamenti umani. Nel film Lars von Trier chiede a Leth di rifare cinque volte quel documentario mettendogli ogni volta sul suo cammino degli ostacoli che l'altro accetta. Ora si tratta di un ostacolo puramente tecnico, girare delle sequenze con un numero limitato e non consueto di fotogrammi, ora gli si domanda di ambientare l'azione prima a Cuba poi nei quartieri più malfamati, di Nuova Dehli, pretendendo, a un certo momento, che, per raccontare, ci si serva delle tecniche del disegno animato... Il film è questo. Da una parte i due registi, il primo che dispone, l'altro che esegue: con la possibilità — come nel cinema-varietà — di dar rilievo al loro curioso rapporto artistico sottolineandone gli aspetti più strettamente umani, con le trovate drammaturgiche di uno, le esitazioni e poi le convinte decisioni dell'altro. Da un'altra parte, ed è quella narrativamente e visivamente più nutrita, le cinque «variazioni» su uno stesso tema, il documentario, appunto, di Leth. Un gioco intellettuale (e cinematografico) che forse lascerà qua e là interdetto lo spettatore. Vi spicca però in mezzo, la variazione a disegni animati. Piacevoli da seguirsi. G. L. R.

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