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Edito nei «Meridiani» il secondo volume delle cronache 1889-1938

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Negli scritti d'occasione la stessa raffinatezza dei romanzi Mondanità ma anche ricorrenze storiche e critica d'arte

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Carlo Emilio Gadda, poi. Com'è noto, il Gadda non fu per lunga pezza neppur citato nelle enciclopedie letterarie: considerato soltanto una penna ermetica, una fumosa cucina di bislaccheríe. D'Annunzio, lungo gli anni Cinquanta e Sessanta, era d'obbligo nelle scuole, massime nei licei, tacciarlo di ridondanza e di rettorica: colpevole sovrattutto di coniugare la imaginifica prosopopea della scrittura con lo spirito nazionalista e l'ideologia fascista, ancorché la seconda non fosse allora considerata semenza di «male assoluto» - ma quanta pazienza ci vuole con i transeunti e cangianti uomini! Non a caso rilevava Nietzsche, in un pensiero dell'«Aurora», come muore il serpente che non possa cambiare pelle, e lo stesso accade agli spiriti cui s'impedisca di cambiare opinione, ché cessano d'esser spiriti. La verità ha fatto piazza pulita dei pregiudizî e delle castronerie. E D'Annunzio, l'unico nostro degno rappresentante del «Decadentismo» europeo, ha conquistato grazie agli studî approfonditi e spassionati di critici e letterati avveduti, e in specie degli studiosi e degli autori d'Oltralpe, il posto che merita in virtú dell'esemplare sua opera: per certo non subalterna a quelle di Proust, Wilde, Kafka, Mann, Musil, etc.... Ed infine è giunto il momento di rivalutare, del Vate, anche la messe degli scritti giornalistici, come encomiabilissimamente ha fatto la Mondadori nell'arco di due anni con la pubblicazione di due Meridiani, di cui il secondo edito nello scorso ottobre («Scritti giornalistici 1889-1938», 1922 pagg. e CVI pagg. d'introduzione a firma di Annamaria Andreoli e di cronologia a cura della medesima con Giorgio Zanetti). Va da sé che dette pagine e paginette non toccano le vette dei romanzi, della lirica e della drammaturgia del Nostro, ma è al pari indubbio che non può il giornalista pescarese non trasfondere negli scritti occasionali, e non di rado svogliati ed intesi al mero tornaconto pecuniario, il proprio universo d'intelligenza, d'ispirazione, di cultura: ed il proprio raffinatissimo bagaglio grammaticale e sintattico, dalla cui analitica lettura un qualche giovamente trarrebbero ancora numerosi gazzettieri odierni, i quali la lingua italiana hanno dimenticata sotto il nefasto influsso delle storpiature del microlinguaggio televisivo o dei sintetici andazzi computeristici; o imbastardito coll'uso spropositato di uno sconcio inglesaccio; od ignorano tou-court stante una loro originaria e beata asinaggine. D'Annunzio si produsse in molteplici campi, su parecchi giornali e riviste, in ogni caso manifestando quando competenza specifica e acuta sensibilità (ad esempio nelle recensioni d'arte e musicali), quando capricciosa ed assai squisita fantasia, come nei giovanili pezzi di moda e di cronaca mondana. Un sottile diletto leggerlo, mettiamo, nella commemorazione di Giosué Carducci (quasi fratello e collega) sul «Corriere della Sera» nel 1907; ed una scenografica vampa ad osservare lo scatto d'orgoglio dell'autore rivolto all'esercito italiano, a rincuorarlo, in Fiume nel 1920. Un piacere altresí scrutarlo nelle virtuosistiche descrizioni di una società provincialistica, gaudente, formalistica a dismisura e peccaminosa con misura, vibratile su ordinazione quale forgia l'Italia umbertina. La descrizione-pittura del gran mondo; le serate a teatro fonti d'impareggiabile voluttà nel frusciante viavai delle pallide dame modellate ad opera d'arte: financo nei brucianti sguardi che rischiarano il foyer, e nei monumentali palpiti dei décolletés che imparadisano i palchi di promesse. Mala tempora currunt. Forse, D'Annunzio giornalista è niccianamente inattuale e stilisticamente démodé. Ciò non di meno si vorrebbe in molti precipitare in questa inattualità: cronisti e lettori.

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