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di GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI «LA SITUAZIONE dell'uomo nel mondo contemporaneo sembra lontana ...

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Era il 1979, e, a poco meno di un anno dalla elezione, uscì la prima enciclica del nuovo Papa, «Redemptor hominis». E lì, in quel documento, fu possibile individuare quello che sarebbe stato il tratto più caratteristico e distintivo di Giovanni Paolo II e del suo pontificato: la difesa e la promozione della causa dell'uomo. È vero: tutti i Pontefici dell'età moderna si erano battuti strenuamente a favore della dignità della persona umana, dei suoi diritti. Ma è altrettanto vero che nessuno, prima di Papa Wojtyla, lo aveva fatto con tanta forza, tanta tenacia, tanta passione; e, soprattutto, con una così profonda conoscenza delle minacce contro l'uomo. Ciò deriva chiaramente dalla drammatica esperienza che Karol Wojtyla ha fatto prima del nazismo, al tempo della seconda guerra mondiale; e poi del comunismo, nei quarant'anni in cui la Polonia, pur avendo combattuto dalla parte dei vincitori, è rimasta prigioniera all'interno dell'impero sovietico. Ma - è importante rilevarlo - l'umanesimo di Wojtyla non è maturato in opposizione a un solo sistema, a una sola ideologia; bensì dall'osservazione personale, diretta, di come l'uomo, ogni uomo, sia capace di grandi malvagità ma anche, contemporaneamente e contraddittoriamente, come si dimostri aperto a grandi speranze, a grandi utopie. Nasce da qui, perciò, il pensiero e poi l'insegnamento etico di Karol Wojtyla. Nasce dalla scoperta di quell'incredibile «mistero» che è costituito da ogni singola persona umana, vista come unica e irripetibile nell'intero universo, e non semplicemente un numero fra i tanti, non un qualcuno di anonimo nella massa. Come dire che la persona ha un primato assoluto sulle cose, lo spirito sulla materia, l'etica sulla tecnica. E così, una volta diventato Papa, Wojtyla ha portato nel suo magistero una concezione dell'uomo che non era debitrice di alcun sistema culturale o politico; come non era in alternativa o in contrapposizione con alcuna ideologia. In questo modo, Giovanni Paolo II, sganciatosi dai logori schemi del «progressismo» e del «conservatorismo», ha condotto la Chiesa ad esercitare - realmente, credibilmente - la sua funzione profetica. Cioè, la funzione di coscienza critica della comunità umana. Ebbene, emerge tutto questo - anche se si tratta di una delle tante riflessioni possibili - dalla voluminosa opera «Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia», pubblicata da Bardi Editore e dalla Libreria Editrice Vaticana. Un'opera nata per iniziativa di un gruppo di giuristi italiani in occasione del XXV di pontificato di Karol Wojtyla, ma poi diventata una straordinaria raccolta di testimonianze di oltre 420 esperti del Diritto, e tra i quali ci sono anche illustri studiosi di religione ebraica e musulmana. Scrivono nella presentazione i due curatori, Aldo Loiodice e Massimo Vari, che s'è voluto compiere non soltanto un gesto di omaggio a un Pontefice, al quale, per la grandezza della sua figura, è stato attribuito il titolo di «Magno»; ma anche «esprimere, con gli strumenti di lavoro che sono consueti ai giuristi, la gratitudine a Giovanni Paolo II per aver indicato, con la parola e l'esempio, i molteplici itinerari verso i quali indirizzare l'attività di ricerca e di studio, all'alba del terzo millennio». Itinerari sui quali, «indipendentemente dalle religioni e dalle professioni», non possono non convergere «tutti gli uomini che, liberi da pregiudizi, privilegiano la condivisione del Diritto incentrato nel valore della persona umana». I contributi sono divisi in venticinque sezioni, che spaziano dal diritto canonico ed ecclesiastico al diritto alla vita, all'Europa, alla giustizia penale. Più corpose, ovviamente, le sezioni dedicate alla pace e alla guerra, e, più ancora, alla persona e ai diritti umani. Ed è specialmente qui, sul fronte dei diritti, che si comprende appieno il grande contributo dato da Giovanni Paolo II alla causa dell'uomo. Infatti, grazie a lui, quello ch

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