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di ASSIA BAUDI DI SELVE IL MAL d'Africa è contagioso.

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E lo stesso vale per il made in africa. L'etno chic va di moda, non è una novità. Ma fino a ieri lo si associava quasi solo esclusivamente al sapore orientale. Via libera alle interpretazioni degli stilisti più noti, alla contaminazione musicale, alla creazione di gioielli, all'architettura ispirata all'essenzialismo giapponese. Ormai è una consuetudine e come tale non affascina più come prima. Ed ecco che appare una novelle vague. Soffia un vento caldo, che viene dal deserto. Con l'avvicinarsi del Natale, la caccia ai regali. I prodotti proposti dall'Associazione romana Radioafrica, nata nel 2002, sembrano fare al caso di chi del consumismo natalizio fine a sé stesso ne ha abbastanza. Gli oggetti sono equilibrismi di design, made in Zimbabwe con fili di ferro, cavi telefonici, tappi di bottiglia e lattine di ogni tipo. Riciclati e reinventati con fantasia. Il loro pezzo simbolo è una radio perfettamente funzionante, fatta quasi di niente. La cultura del recycled è un cult, figuriamoci se l'impronta è subsahariana. A Parigi, capitale indiscussa dell'etno-chic africano, il negozio Csao, situato in una strada nel cuore del Marais, ribattezzata rue de la petite Afrique, va per la maggiore: lo stilista John Galliano e l'attore John Malkovich impazzano per gli accessori realizzati con materiali riciclati. E all'Eclaireur, boutique che detta le regole dello stile parigino, si fa la fila per prenotare le borse feticcio dell'autunno 2003, quelle disegnate da Alek Wek, top model sudanese, foderate con stoffe raffiguranti scene di vita locale. Per non parlare poi del raffinato ristorante Le Petit Dakar e del locale Jokko, con musica jazz afrocinese, frequentato da Jane Birkin ed Emmanuelle Béart e fotografi come Mario Testino e Peter Lindberg. Cape Town, a settembre, ha vissuto la sua prima settimana della moda: colori sgargianti e brillanti tessuti sono scesi in passerella. Tra questi, i capi firmati Hip Hop, ai quali le fashion victims francesi non rinunciano. Ma non è necessario volare a Parigi per farsi contagiare. Basta navigare su Internet. Avventurarsi nel sito www.inafrica.it, che tra le altre cose propone una lista completa di punti vendita italiani, o lasciarsi travolgere dalla musica su www. african-heritage.org, simile a quella che già anima alcuni innovativi locali nostrani. Come l'appena nato Hafa Caffè di Torino. L'ideatore Milli Paglieri, architetto noto per la linea di mobili africani Bab Amnil, ha anche lanciato la linea Hafa Hammam di prodotti naturali per la cura del corpo, ispirata al rito dell'hammam. Carica di fascino, quanto la parola Hafa, che rimanda a un celebre caffè di Tangeri, amato da scrittori immortali come Jean Genet e Paul Bowles.

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