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«Non man's land» portato in scena fa pensare a Godot

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METASTASIO DI PRATO

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Questo succede anche ad un film come «No man's land» che rivelò un giovane e valente cineasta bosniaco-belga: Denis Tanovic viveva a Bruxelles quando fece questo piccolo film a basso budget sulla tragica guerra nel suo Paese al Festival di Cannes del 2001, vincendo il premio della sceneggiatura, per trionfare l'anno successivo all'Oscar come miglior film staniero. Ora con la sceneggiatura rielaborata da Sandro Veronesi, che l'ha tradotto ed adattato, è stato messo in scena da Massimo Luconi, un regista nato dal laboratorio pratese degli anni Settanta di Ronconi, che ha ambientato «No man's land» in un'unico desolato universo tra case diroccate (anziché la trincea del film), presieduta da due bosniaci ai quali si aggiunge un serbo. Ed è in questa terra di nessuno che nasce l'assurdo: la pazzia della guerra, specialmente quando è dichiarata «civile». I tre si ritroveranno davanti ai loro assurdi destini mentre un bombardamento colpisce il bosniaco Tsera (Giuseppe Battiston) che si riprenderà dopo che il suo amico Tchiki (Marco Baliani) l'aveva creduto morto, ma con una micidiale mina sotto il corpo che scoppierà ad un suo movimento, una mina che neppure l'artificiere dei caschi blu dell'Onu, riuscirà a rendere innocua. Tsera non si può letteralmente muovere ed intorno al suo atroce destino gira tutta la commedia. C'è l'odio-amore tra questi "ex-fratelli", che ora sono nemici, c'è questa guerra che nessuno dei tre voleva, c'è anche la diretta tv di una giornalista d'assalto americana; ma dopo le riprese televisive tutti se ne vanno: lasciano Tsera al suo destino di uomo-bomba. Un lavoro drammatico attraverso una scrittura leggera che si svolge come un «Godot» beckettiano, intriso di battute e di amara ironia: grande il successo di pubblico. Al Metastasio di Prato fino a domani All'India di Roma dal 3 al 7 dicembre

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