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L'eterno disagio giovanile nella personale rilettura di Dagur Kári

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Dall'Islanda un anti-eroe calvo e albino

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Throstur Leó Gunnarson, Elin Hansdottir, Islanda-Germania-Gran Bretagna-Danimarca, 2003. Un film dall'Islanda. Ad opera di un esordiente, Dagur Kári, che ha studiato cinema in Danimarca, diplomandosi con un mediometraggio, «Lost Weekend», premiato in vari festival. Oggi, in apparenza, ci propone la solita vicenda del giovane ribelle che sogna di evadere dagli impacci del suo quotidiano, in realtà va più a fondo nel tema e, soprattutto, la rilegge in modo molto personale grazie alla cornice cui l'affida. Una cornice che, naturalmente, è l'Islanda, in una cittadina sperduta tra nevi e ghiacci. Il protagonista è il Nói del titolo, un ragazzotto calvo ed albino che vive con il padre e con la nonna, così insofferente della vita scolastica che un giorno il suo insegnante, esasperato per le sue continue assenze e le sue provocazioni, ottiene la sua espulsione. Non prima, però, che lo psicologo incaricato dalla scuola di seguirlo, smentendo la sua fama di «scemo del villaggio» lo dichiari dotato invece di molta intelligenza. Di questa intelligenza, tuttavia, Nói si serve solo per sognare paesaggi tropicali dove vorrebbe trasferirsi insieme con una ragazza, Iris, di cui si è innamorato. Per il resto continua a scontentare tutti nonostante, quando il padre gli trova un lavoro visto che non studia più, vi si dedichi con un certo impegno. Una conclusione drammatica lo aiuterà, forse, a risolvere i suoi problemi: una valanga che, seppellendo sotto la neve i suoi e la stessa Iris, lo lascerà solo con se stesso, pronto a realizzare, lontano da lì, i suoi sogni. L'analisi da vicino di un carattere, ma anche nello stesso tempo, la rievocazione attorno di un ambiente che lo determina anche quando ne è respinto. Una narrazione senza scosse, nemmeno al momento del dramma, una proposta, attorno, di altri personaggi visti soprattutto nell'ottica del protagonista. Con una regia che privilegia i ritmi lenti, riflesso esatto di quelli su cui si costruisce la vita in mezzo a tutta quella neve, chiedendo alle immagini di ricreare, con il loro perenne candore, le atmosfere più adatte per riflettere l'immobilità di quelle esistenze che sembrano perdersi nel vuoto. Mentre, a riempire questo vuoto, intervengono delle musiche, composte dallo stesso regista insieme a una sua band nota come «Slowblow», che, anziché commentare, tendono all'astratto. Il protagonista si chiama Tómas Lemarquis, l'unico attore fra non professionisti. Vero come loro.

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