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di WALTER MAURO ACARNESI, Cavalieri, Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli, Tesmoforiazuse, Lisistrata, ...

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L'autore della fatica è il massimo grecista vivente, Benedetto Marzullo, cui si deve traduzione scenica, testo greco integralmente rinnovato, appendice e critica come mai forse era accaduto per precisione e completezza. Eccoci dunque a colloquio con lo studioso, al quale è d'obbligo chiedere cosa voglia dire traduzione scenica «Certo, la definizione può mettere in imbarazzo, non esiste un tipo di traduzione di questo genere, ma è altrettanto vero che il testo che andava in scena non era un testo per lettori, ma per spettatori, e perciò non era necessario spiegare con didascalie o con rimandi che cosa accadeva in scena: il testo rappresentato forniva tutti gli elementi non per immaginarla, ma per costruire e costruirla non virtualmente, ma con efficacia». Da una vita lei lavora su Aristofane, e non soltanto: le si deve la rigenerazione di una infinità di testi antichi. Questa corposa edizione della Newton Compton ora in libreria è solo una revisione dell'opera aristofanesca o qualcosa d'altro? «Non è una revisione di qualcosa che c'era prima e neppure un ripensamento, è un obbligato punto d'arrivo, cui sono giunto dopo un percorso di almeno mezzo secolo. Un percorso non facile perché il caso di Aristofane è singolare, da lui non abbiamo ricevuto nulla, neanche indirettamente. In realtà, noi traduciamo quello che si è salvato, non dal naufragio ma da vicende impossibili da ricostruire. Aristofane non ha mai scritto un testo per il teatro, ha scritto delle parti di un testo per gli attori; dopo di ciò è andato in scena e spesso si è perduto il materiale che in qualche maniera è stato ricostruito, quasi sempre dopo la morte dell'autore». In queste condizioni, come e quanto è arrivato a noi? «Con gli Alessandrini, fine quarto secolo, si è fatta una scelta: non si potevano tramandare tutte le opere, le tragedie, il quinto secolo ne ha prodotte duemila! Aristofane ne aveva scritte, secondo quanto a noi tramandato, quarantuno, ne abbiamo ricevute soltanto undici. Il mio punto d'arrivo, sul quale ho lavorato per anni, è l'ultima edizione che si può chiamare vulgata, quella delle Belles Lettrees francesi». Proiettiamoci ora, per concludere, sull'attualità. Si fa un gran parlare di un ritorno alla classicità, anche il nostro giornale se n'è occupato di recente... «Ma il recupero della latinità e della grecità, io più che avvertirlo lo pratico con profonda convinzione ma anche con enorme distacco di fondo. Io non ritengo che la nostra antichità classica sia indispensabile alla nostra civiltà: è stata indispensabile. Oggi solo il numero dei professori di greco è decuplicato a confronto di quando io ho cominciato. Ciò non ci garantisce dall'influsso che è troppo poco, della trasmissione di valori di cui molti si illudono. Noi lavoriamo e basta, niente altro». Nelle trame aristofanesche, la vita politica del tempo è presente in modo schiacciante. Si possono cogliere delle affinità, o porre dei confronti con la vita politica di oggi... «Alcune costanti ci sono, non c'è che dire. In Aristofane c'è lotta, sarebbe banale dire fra destra e sinistra, ma indubbiamente la sfida è fra un'apertura, un'attesa del futuro e una conservazione del passato, e allora qui il confronto di cui parlava si fa sempre più legittimo. Ma anche qui: Aristofane passa non soltanto per un conservatore, ma per un feroce oppositore di tutto ciò che non è nuovo della politica che in quel momento si va elaborando. Infatti, in termini moderni, la sinistra che viene al potere parallelamente con l'insorgere di Aristofane, è tutt'altro che la sinistra odierna e tutt'altro che degna della mistificazione cui la sottopone Aristofane. Dobbiamo certamente fare tesoro della nostra personale esperienza, di quella propria che noi conosciamo. Ma si deve essere cauti nelle sovrapposizi

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