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di CARLO SGORLON È RIAPPARSO nelle edizioni eleganti di Scheiwiller uno dei due libri narrativi di Lucio Lami.

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uno dei giornalisti di «lungo corso», autore di esemplari servizi da più continenti, soprattutto dai luoghi maledetti dove si combattevano guerre crudeli. Lami ha scritto su molti argomenti. La struttura letteraria che predilige è la biografia, e qui il suo libro più in evidenza è «Garibaldi e Anita corsari», ossia quando combattevano per la libertà dello stato brasiliano di Rio Grande do Sul, contro il governo centrale. Un libro cui sono ricorsi ampiamente gli autori di uno sceneggiato televisivo brasiliano, recentemente programmato in Italia. Ma Lami è anche narratore, e due suoi libri, «Il paradiso violato» (ricordi d'infanzia) e «La donna dell'orso» appartengono a questo versante della sua attività. Il secondo racconta molto probabilmente, una storia vera, sentita narrare nella zona di Compiano, un paese dell'appennino parmense, dove Lami ha la sua casa di campagna. Compiano era un borgo in cui, in anni lontani, viveva un certo numero di persone che riuscivano a campare girando il mondo con animali ammaestrati, scimmiette, pappagalli, orsi e così via. Questi vagabondi, le cui storie sono rimaste nella memoria della gente, occupano un posto privilegiato nello spirito dell'autore. Nel libro di cui sto parlando v'è una storia di «orsanti», ossia di due coniugi che subito dopo il matrimonio si recano in Europa, in Russia e in Siberia per campare l'esistenza e poter accantonare qualche risparmio. Di solito era l'uomo che affrontava le avventure ed i rischi di un mondo ignoto, sterminato e pieno di sorprese. Ma la moglie, Adina, non accetta di lasciar partire il suo uomo, Michelazzo, dopo le nozze. Così, dopo la partenza di Michelazzo col suo orso, chiamato Grigio, insegue il marito e lo raggiunge in una località del Trentino. Sopra di loro soffia il vento variabile del destino, ora tiepido, ora freddo, ora gelido come la Siberia che attraversano. La loro concezione è istintivamente fatalistica e conduce alla accettazione anche di ciò che è pesante, avverso e strano. Lami, benché giornalista, non è molto legato alla concezione laico-storicista, e non è vicino nemmeno a quegli scrittori che sentono fortemente il pathos della storia, come ad esempio Tolstoj o Bacchelli. Non ama le sue assurde vicende, come la tremenda guerra tra Rossi e Bianchi nella rivoluzione russa, ma è piuttosto solidale con le sue vittime. Con l'Adina in particolare. Il marito, il cui scopo principale nella vita è riuscire a impadronirsi di un grande orso siberiano, con cui tentare di fare i soldi, lo vede come uno che è entrato nel grande meccanismo illusorio dell'esistenza. Michelazzo, attraverso complesse avventure, riesce con la Transiberiana a raggiungere Vladivostock, a imbarcarsi su una nave di profughi e a tornare in Italia. Adina no. La donna scompare nei gorghi della storia e degli amplissimi orizzonti siberiani. Il fascino di questo romanzo, molto maggiore del suo successo, è nella nostalgia di un mondo scomparso, demolito a colpi di coda da quell'immensa Balena Bianca che è l'accadere storico.

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