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DAL MALI AL MISSISSIPPI, di Martin Scorsese, prodotto da Sam Pollard, con Corey Harris, Taj Mahal, Othar ...

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MARTIN Scorsese ama il blues. Lo ritiene la vera fonte del rock, di cui è un patito, e, sotto un certo aspetto, anche una delle basi della cultura americana, specie di quella che ha le sue radici nell'Africa nera. Così quando il Senato americano ha dichiarato il 2003 «l'anno del blues», non ha esitato a farsi carica, come produttore, come supervisore e, in una occasione, anche come regista, di una serie di sette film dedicati da noti autori alla storia del blues, ai suoi significati musicali e antropologici, ai suoi compositori più celebri. Uno lo si è già visto sui nostri schermi, «L'anima di un uomo», con cui Wim Wenders aveva esplorato la vita di tre fra i suoi artisti blues preferiti, Skip James, Blind Willie Johnson e J. B. Lenoir. Oggi ci arriva proprio il film che Scorsese si è anche diretto, giustamente intitolato «Dal Mali al Mississippi» perché vi propone, con partecipazione affettuosa, un pellegrinaggio lungo il Mississippi e poi in Africa di un musicista nero fra i più creativi nel suo genere, Corey Harris, seguito non solo attraverso il suo viaggio e le sue commozioni, ma tramite una serie di interviste che gli permettono di risalire alle origini del blues, affiancandosi anche ad altri autori ben conosciuti dagli appassionati. Facendoci ascoltare le loro musiche, alternate con sapienza a immagini di repertorio per non dimenticare, nella esposizione, anche i compositori più apprezzati di ieri. In cifre in cui il documento si fa cinema grazie alla passione con cui Scorsese vi alterna musiche, cornici, personaggi. Come in un viaggio iniziatico. G.L.R.

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