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La rivincita della vecchia radio

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Di tutta la radio. Stavolta emittenza pubblica e privata non sono entrate in rotta di collisione. A casa, per le strade, alla ricerca di qualche frammento di notizia, nello spaesato passaparola notturno e mattutino, si è tornati a dire: «L'ha detto la radio». Una radio moderna, dal walkman alle scritte a cristalli liquidi nelle proprie auto che segnalano la frequenza raggiunta; in tutte le sue forme, la voce dell'etere sembra l'unico genere di conforto in un risveglio buio e piovoso di fronte a macchine da caffè in tilt. Nelle ore del black out la vecchia manopola (che in pratica non esiste più, ma è un piacere chiamarla così), è tornata ad essere lo strumento informativo degli italiani. Se ne è dovuta accorgere anche la tv, che all'intramontabile mezzo ha dedicato spazio e servizi. Come dire: giù il cappello, stavolta è arrivata prima. Immortale e pur sempre uguale a se stessa, la radio vive ore di gloria, prima solo strumentale, grazie alla puntualità informativa, poi addirittura planando in una nube di estetismo, in cui i protagonisti, gli uomini della radio, vengono avvolti in un manto poco meno che apologetico. Dunque la radio conserva ancora una insostituibile funzione. Grazie, lo sapevamo già. Semmai ci sarebbe da riflettere sulle modalità di seduzione. La radio vince su sistemi tecnologicamente più sofisticati, non ha bisogno di «connettersi» perché è già «connessa» di suo, visto che la dimensione fisica e quella virtuale si compenetrano magnificamente. Nel gesto dei cittadini preoccupati, nella ricerca delle vecchie pile nel cassetto, c'è modernità e praticità e paiono convivere potenzialità, difesa della privacy e libertà personale. Grazie radio, fantastica ottuagenaria per folle intelligenti.

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