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di CARLO SGORLON LESSI qualche tempo fa un'intervista al sociologo svizzero Jean Ziegler, ...

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Ziegler, ora un funzionario dell'Onu nel settore dell'alimentazione, mi ha dato l'impressione di essere ancora legato a un vetero-comunismo utopistico, quello che in realtà produceva miseria per tutti, oltre che una totale mancanza di libertà. Come il funzionario dell'Onu la pensa ormai un'infinità di persone, che a soli quattordici anni dalla caduta del Muro di Berlino sembrano già smaniosi di allestire di nuovo una gabbia universale, mediante l'utopia arcaica e retorica dell'uguaglianza, per chiudersi dentro da sé. Gli uomini non sono e non potranno mai essere tutti uguali, nemmeno dal lato economico, e non resta che accettare e magari rassegnarsi a questo fatto. Ogni opinione di Ziegler mi sembra ingenua, quasi fanciullesca. Ma poiché per discuterle tutte ci vorrebbe molto spazio, ne sceglierò una sola. Una delle affermazioni di Ziegler è questa: «I duecentoventicinque più grandi patrimoni del mondo superano le ricchezze di circa tre miliardi di esseri umani». Così com'è formulata la frase colpisce profondamente. Si ha l'impressione che essa riveli una realtà mostruosamente ingiusta. Ma una delle mie vocazioni è quella di vedere le cose dall'altra parte. Proviamo dunque ad analizzare l'opinione. Questi patrimoni scandalizzano se appartengono a eredi che non li hanno creati e passano stupidamente la vita a dilapidarli. Ma se appartengono a imprenditori che si sono fatti da sé, le cose sono già molto differenti. I grandi patrimoni sono, in genere, legati ad attività produttive create da uomini geniali, o comunque molto dotati, che meritano di gestirle appunto perché le hanno inventate e le sanno condurre. Nei regimi comunisti le loro capacità non sarebbero emerse, perché in essi contava non l'ingegno economico, ma piuttosto l'ortodossia politica. Perciò in essi la miseria (e di conseguenza anche la corruzione) erano quasi universali. Nel sistema liberista il merito, le capacità imprenditoriali sono quasi sempre premiati dal successo economico, e questo è uno dei motivi per preferirlo. Molti grandi imprenditori italiani, come furono Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli, Adriano Olivetti, come sono Benetton, Del Vecchio, o Berlusconi, si sono fatti da sé. Bisognava impedir loro di diventare grandi imprenditori? Non credo proprio. Scandaloso sarebbe se (detto per paradosso) consumassero le risorse limitate del pianeta in rapporto alla loro ricchezza. Se ognuno di loro si mangiasse ogni giorno una mandria di buoi, i prodotti agricoli di un'intera provincia, e così via. Ma essi mangiano come noi, talvolta anche di meno, perché, come grandi lavoratori, sono predisposti all'ulcera duodenale. Solitamente possiedono parecchie ville nei luoghi più celebrati della terra, navi da diporto, abiti firmati, o che so io. Ma per un abito, tutto sommato, simile ai nostri, indistinguibile dai nostri a due metri di distanza, spendono dieci o venti volte più di noi. Ciò alimenta la produzione e il mercato di lusso; secondo me, è bene che essi esistano, perché ciò rende la vita più varia e interessante. Sarebbe preferibile che tutti vestissero la tuta e il berretto da proletario dei tempi di O Ci Min, o di Pol Bot, o della Rivoluzione Culturale? La gente comune si diverte a occuparsi della vita dei ricchi anche perché spera di potere un giorno spendere come loro. Infatti quello di diventare ricchi è un sogno che, come tutti gli altri, aiuta a vivere. La mancanza di speranza, l'uniformità, erano e sono tra le cose più avvilenti delle società comuniste. Di Silvio Berlusconi molti ricordano che possiede migliaia di miliardi, che è l'uomo più ricco d'Italia. Proprio per questo molti lo invidiano e lo detestano. Ma chi vuole avere un concetto equilibrato delle cose dovrebbe ricordare anche che l'attuale premier italiano ha creato aziende e lavoro per quarantamila persone e che non ha mai licenziato nessuno e che non ha mai chiesto soldi allo Stato per superare le proprie difficoltà.

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