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Mistici, blasonati e politici: quanta astinenza

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Le «proteste» col piatto vuoto del Mahatma Gandhi e di Pannella, le diete delle principesse

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E viene subito in mente quel in altre occasioni corpulento Pannella, che della rinuncia - da cibo ma anche dall'acqua - ha fatto stile di leader. Altra stazza - come dire, il phisyque du role - aveva Gandhi, alfiere della non violenza e artefice dell'indipendenza dell'India dalla Gran Bretagna. Ma nel caso del Mahatma il non mangiare, anche se accadeva per protesta, si ricuciva alla tradizione della sua gente, che del digiuno faceva regola di vita. Una regola che fu dei grandi santi del Medioevo. Ecco Francesco, ecco Santa Caterina, che rasentò l'anoressia, ecco Santa Chiara, tanto incline ad astenersi dal cibo da far preoccupare il poverello di Assisi. E poi i grandi mistici che univano al digiuno la sofferenza di vivere nel deserto. San Girolamo, e Sant'Antonio Abate, tentato dal diavolo anche con il cibo. E se i Papi del passato, i Papa Re, com'erano una volta, indulgevano in poco santi manicaretti, i Pontefici di questo secolo hanno saputo rinunciare spesso al cibo. Come Wojtyla, che recentemente ha invitato i fedeli a digiunare un'intera giornata per l'Iraq. Il blasone poi è fonte sia di peccati di gola che di astinenze scriteriate. Lungo l'elenco delle regali anoressiche, dalla bella Sissi - infelicemente sposata a Francesco Giuseppe imperatore d'Austria - a Lady Diana e alla giovanissima erede al trono di Svezia, Vittoria. Ma adesso i comuni mortali la dieta la fanno? Altro che sì. E se negli anni Sessanta erano d'obbligo le ragazze grissino, ora le fanciulle sono un po' più rotondette eppure palestrate. Ma mamme, zie, cugini maggiori, gli adulti insomma, di digiuni ne fanno di tutti i tipi, bilanciati e non. Con una costante però, avverte Mességué, uno dei guru del «sempre belli»: che i chili persi inevitabilmente si riprendono. Perché stare una vita a digiunare è frustrante, impossibile. Nega non solo il piacere della gola ma anche quello della vita di relazione. Ecco allora il suo suggerimento: dieta un solo giorno alla settimana, che che sia sempre lo stesso e che duri tutto l'anno. Si perdono solo due etti ogni sette giorni, ma dopo dodici mesi sono diventati cinque chili. Le rinunce in quel giorno? Niente alcool, carboidrati, insaccati, zucchero, grassi. Soprattutto, niente sale. E due litri d'acqua da bere. Ci si disintossica. «In fondo il mio d-day ha la stessa funzione benefica del digiuno del venerdì dei cattolici, che serviva a contrastare, per esempio, la gotta», dice Mességué. Che ne pensa, ministro Sirchia? Li. Lom.

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