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di SIMONA BUONOMANO TITOLO profetico quello di questo romanzo giovanile di Jack Kerouac, ...

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All'epoca Kerouac aveva 23 anni e si accostava per la prima volta alla narrativa con una vicenda già di chiara matrice autobiografica: dietro gli studenti universitari di cui narra avventure e velleità letterarie sono facilmente riconoscibili quegli Allen Ginsberg, William Borroughs, Lucien Carr e gli altri giovani conosciuti alla Columbia University e con i quali, anni dopo, il celebrato autore di «On the road» avrebbe dato vita alla Beat Generation. La trama, piuttosto esile, racconta turbamenti, amori e amicizie di quei ragazzi inquieti e costruisce la suspance intorno al misterioso legame tra Paul, il più carismatico, Michael, l'artista tormentato e l'affascinante Helen. Leo, Arthur, Anthony, Marie, Maureen completano l'insieme, affiancati da una serie di comparse, con belle scene corali in cui si intrecciano rapporti instabili, che situano il gruppo a metà tra la compagnia goliardica e il cenacolo letterario. C'è molto del Kerouac futuro, ma tutto è ancora acerbo: gli ostentati rinvii tra letteratura e vita, quell'atteggiarsi dei protagonisti a poeti maledetti, lo spirito bohémien, il "male di vivere" così urlato, sono motivi che qui più che nascere dall'esperienza diretta o da una consapevole scelta anticonformistica, sono chiaramente prelevati di peso dalla cultura di cui quei giovani sono imbevuti. I richiami letterari non a caso sono espliciti, esibiti, quasi a costruire un'ideale biblioteca dell'autore negli anni della formazione: da Eliot a Nietzsche, da Stendhal a Dostoevskij, da Lucrezio a Joyce, da Gide a Mann, e naturalmente Rimbaud e Beaudelaire. Ma c'è anche la musica di Bach, Brahams, Stravinskiij, Rachmaninov. Miti evocati di continuo dai protagonisti che su di essi costruiscono i propri personaggi di disadattati. Ci sono poi pagine intere di versi, (Kerouac, lo ricordiamo, era anche poeta) incentrati sui temi della solitudine e dell'alienazione, dell'incontro-scontro col divino, con accenti spesso tendenti all'autolesionismo. In più l'autore flirta di continuo con la lingua francese quasi a nobilitare il linguaggio e a dare un tocco di snobismo a quella prosa ancora lineare, fortemente descrittiva, che non ha molto della scrittura sincopata successiva. Si è detto però, e mai definizione poteva essere più azzeccata, che questo breve romanzo va letto anzitutto come un "ritratto dell'artista da giovane", in cui sono presenti in nuce i motivi più interessanti del Kerouac successivo, prima di tutto quell'idea del vagabondaggio fisico come evasione mentale e fuga da un contesto vissuto negativamente, ma soprattutto c'è l'autore, in cui lottano l'uomo alla ricerca di se stesso e lo scrittore che va elaborando un'alternativa alle proprie fonti. Alter ego di Kerouac nel romanzo, infatti, non è solo il cinico Paul, ma anche il poeta Micheal, due personaggi complementari che nello scavare in se stessi si scopriranno due metà di un unico essere. Ed è questo senso della scoperta della propria identità umana e letteraria il nucleo più prezioso di questo libro, tutto già contenuto in quel titolo, «Orfeo Emerso», che spiega il finale della storia, con il rinvio alla mitica figura di Orfeo, in cui si realizza l'interezza di uomo e artista. Ma nel lontano 1945 quel titolo profetizzava anche il futuro destino dell'autore, che avrebbe fatto della propria esistenza il "romanzo" di un'intera generazione.

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