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Il coreografo presenta a Castiglioncello «Maria Callas»

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Nasce da un'idea di Cristina Muti, con la quale collaboro da quindici anni al Festival di Ravenna». È Micha van Hoecke che parla, il coreografo belga già braccio destro di Béjart, ora a Castiglioncello con il suo Ensemble dove presenterà «Maria Callas, La Voix des choses» sabato e domenica prossimi venturi. «Nessuno in realtà aveva fatto nulla per ricordare la Callas, salvo il film di Zeffirelli che non ho visto. È nata così l'idea di farle un omaggio come era stato fatto per Fellini o Carmelo Bene. Prima ascoltavo la Callas come tutti — confessa il coreografo — poi mi sono innamorato di quella voce, che mi ha quasi stregato e lavorando nel mondo del movimento è sorta l'idea di raggiungere attraverso la danza l'irraggiungibile come la sua voce divina. Non si tratta dunque di una evocazione biografica... È la ricerca di qualcosa di perduto per sempre come Euridice, qualcosa che cerchiamo nella gioia come nel dolore. È un percorso nel regno della musica nel quale si è costruito questo itinerario di un viaggiatore alla ricerca della sua voce. Nel Mudra si lavorava con la voce: il canto è una danza invisibile, come la danza è un canto che non si sente ma si vede. È tutto interiore. La Callas aveva un movimento straordinario, riuniva insieme anima e corpo. Perciò ho evitato qualsiasi riferimento biografico, i gossip, i pettegolezzi, i capricci della diva. Sarebbe stato restrittivo. Lei parla di noi col suo canto, tocca le nostre corde sensibili: io ho cercato di sottrarla al tempio della élite e di avvicinarla a noi. Aveva qualcosa di magico senza forse esserne cosciente. Così hai preso a prestito le arie delle sue celebri interpretazioni... Nel mio lavoro è la danza che parla. Ho scelto un repertorio molto particolare, le pagine meno usurate e banali, anche da Bellini, Wagner, Berlioz, Boito ed anche un rarissimo pezzo dell'Oberon di Weber in inglese. Come giudichi la salute della danza italiana? È molto precaria. La danza è prima di tutto un'arte e deve avere stretti rapporti con la cultura. Insomma non solo esibizionismo, non solo circo. Trovo che c'è poca cultura e la danza è affidata alle mani di organizzatori discutibili. Ci sono troppi spettacoli di intrattenimento. Pochi, come il Kirov, possono permettersi il repertorio, che dovrebbe ormai piuttosto allargarsi al secolo appena trascorso. Ed anche la ricerca e l'avanguardia sono indietro di venti anni almeno. Il governo dovrebbe fare scelte per dare orientamenti e credito a quest'arte. Invece si va avanti senza progettualità. Bisogna allargare il repertorio, ma occorre cultura e voglia di impegnarsi in progetti interessanti e non solo di cassetta.

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