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Roma sotto mille tonnellate di bombe

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Il giorno prima l'ambasciatore tedesco Von Mackensen aveva consegnato al duce un invito urgente di Hitler: era stato fissato un incontro per l'indomani, a Feltre, nel Veneto, in una villa del Settecento. Mussolini era partito la sera stessa in volo per Riccione, accompagnato dal medico personale e dal segretario particolare. La mattina del 19 s'era recato di buon'ora a Treviso (dove lo raggiunsero Bastianini e Ambrosio). L'aereo del Führer atterrò, puntualissimo alle 9. Nelle prime ore del mattino del giorno 19, nella capitale, i passanti trovarono volantini che annunciavano un bombardamento imminente sulla città: «Per quest'azione - assicurava il messaggio - sono stati scelti equipaggi accuratamente addestrati e che conoscono Roma» (un modo per dire che sarebbero stati colpiti, per quanto possibile, soltanto obiettivi strategici). I romani non presero sul serio l'avvertimento. Ripetevano a se stessi quanto la propaganda ripeteva dal giorno dell'entrata in guerra: Roma sarebbe stata risparmiata. Roma era il centro della cristianità, c'era il papa. Nessuno avrebbe osato. Quella mattina lo videro in molti, il papa che non usciva mai dai Palazzi del Vaticano, che i romani amavano perché era un romano come loro. Alle 11 urlarono le sirene dell'allarme antiaereo. Neppure quel suono lugubre convinse la gente che il pericolo fosse reale. Molte volte le sirene aveva suonato. Alle 11,30 apparvero all'orizzonte i bombardieri americani, a decine, a centinaia. Oscuravano il cielo. Eppure in altri quartieri della città, nessuno si accorse di nulla. Sembravano tuoni in lontananza: un temporale estivo. Scaricarono, in ondate successive, più di mille tonnellate di bombe. Il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, Azolino Hazon, accorse a San Lorenzo, per soccorrere i feriti della prima ondata. Fu ucciso dalle bombe della seconda. (In via dei Marzi, dove esisteva un bar - scrisse un cronista in quel giorno maledetto - i vigili del fuoco hanno estratto ancora vivi alcuni bambini. Un altro vigile del fuoco, pur avendo saputo che tutti i suoi familiari erano stati sepolti sotto le macerie della casa in cui abitavano, ha continuato il compito assegnatogli. Soltanto al termine del suo turno, accompagnato da alcuni colleghi, si è recato a rimuovere le macerie sotto le quali avevano trovato la morte i suoi familiari). Pio XII arrivò a San Lorenzo quasi subito, accompagnato da monsignor Montini, il futuro Paolo VI. Non sapeva che la Cappella della sua famiglia, al Verano, era stata gravemente colpita dalle bombe. Allargò le braccia, in mezzo ai fedeli, davanti alla basilica di San Lorenzo, che aveva subito gravissimi danni, ripetendo due volte: «Pace! Pace!». Le stesse parole che aveva pronunciato quattro anni prima, appena eletto papa, mentre i tedeschi s'apprestavano a invadere la Cecoslovacchia. Molti s'inginocchiarono davanti al pastore vestito di bianco, con le mani e la veste macchiati del sangue delle vittime. I giornali, nei giorni successivi, scrissero che l'attacco aereo aveva provocato 717 morti e 1.559 feriti. Ma poi si astennero dall'informare i lettori del continuo ritrovamento di salme sotto le macerie: il lavoro di rimozione impegnò centinaia di persone per diverse settimane. Nessuno ha mai saputo quanti furono realmente i morti: duemila, quattromila, seimila. Più di quelli provocati in Iraq da un mese di guerra. Almeno cinquecento furono i bombardieri che parteciparono all'operazione, al comando del generale Doolittle. Oltre al quartiere di San Lorenzo, furono colpiti la Città Universitaria, il Casilino, il Prenestino. Uno scrittore, testimone oculare, raccontò quel che accadde quando si presentarono sul posto le autorità civili: «Quando Vittorio Emanuele, i generali, le persone del governo andarono a visitare il quartiere smembrato, li accolse soltanto un silenzio ostile». Il vecchio re, i gerarchi pallidi, passarono per la strada appena sgombrata dalle macerie affiancati dai carabinieri in motocicletta tra il

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