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di RAFFAELE DE MUCCI LA NOTIZIA di per sé non suscita grande scalpore.

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Dove si era rifugiato, insieme ad altri esponenti della Scuola di Francoforte, per sfuggire alle persecuzioni naziste. E dove ebbe modo di ispirare, con il suo pensiero, tutta una generazione a cavallo degli anni '60: al culto della contestazione globale e al rifiuto totale del sistema capitalistico. È semmai di maggiore interesse, sia pure di natura biografica, la circostanza che Marcuse aveva manifestato l'intenzione di non rimettere più piede in Germania, in questo - ma solo in questo - idealmente vicino ai sentimenti di un altro esule famoso, Karl Popper, che aveva nutrito in vita la medesima avversione nei confronti della patria austriaca. Mentre risulta di forte valore simbolico il particolare che l'urna di Marcuse verrà collocata nel Dorotheenstädtischer Friedhof, accanto alle tombe di Fichte e di Hegel. A sottolineare la continuità di pensiero con la filosofia idealistica e il riconoscimento a Marcuse di un posto di prima grandezza fra i "padri" della cultura tedesca. Ognuno è naturalmente libero di scegliersi i propri "maestri di pensiero", ma viene da chiedersi: fu vera gloria? Ovvero, l'eredità culturale di Marcuse è tale da meritarsi tanto onore? Aderendo alla teoria critica della società, che costituisce il progetto unificante della Scuola di Francoforte - fondata negli anni '30 da Adorno e Horkheimer - Marcuse viene in effetti a collocarsi in una linea di pensiero che lo ricollega alla tradizione dell'idealismo hegeliano, riveduto e corretto attraverso la psicanalisi freudiana e la rivisitazione critica del marxismo. Da Freud Marcuse attinge l'idea dell'"Eros liberato", come principio di supremazia della logica della soddisfazione contro la logica della repressione (la "rivoluzione" sessuale del movimento studentesco delle origini passa anche di qui). Dalla critica al marxismo ortodosso nasce l'insofferenza verso ogni forma di autoritarismo burocratico e di dogmatismo, ma anche il riconoscimento della assoluta indissolubilità fra teoria e prassi, fra conoscenza intellettuale e azione politica (i movimenti di protesta giovanile passano anche di qui). Tutte queste suggestioni confluiscono nell'opera più nota di Marcuse, «L'uomo a una dimensione», pubblicata nel 1964. L'uomo a una dimensione è l'uomo che vive in una società senza opposizione, dominata dal consumismo e dal controllo della tecnologia. E in questa società, «l'apparato produttivo tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non solo le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali». Pillole di un "manifesto" filosofico - e ideologico - non sempre facile da decifrare, che per più di un decennio ha fatto tendenza. Certo, molto più di una moda letteraria: ma molto meno di un pensiero "forte".

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