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OPEN HEARTS, di Susanne Bier, con Sonja Richter, Nikolaj Lie Kaas, Mads Mikkelsen, Paprika Steen, Danimarca, 2002.

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Ce li propone una regista, Susanne Bier, che segue abbastanza da vicino, nei modi e nelle tecniche, le teorie di Dogma 95 codificate da Lars Von Trier: scene solo dal vero, macchina in spalla, luce naturale. Cecilia e Joachim stanno per sposarsi, lui, però, per un incidente, resta paralizzato. Marie, la donna che lo ha investito, sollecita il marito, Niels, che è medico, ad occuparsi di lui ed anche, a un certo momento, di Cecilia perché l'altro, un po' per generosità un po' perché si è chiuso in sé stesso, la respinge duramente. La conseguenza è che Cecilia, bisognosa d'affetto, si innamora di Niels, ricambiata. Crisi sentimentali e coniugali. Alla fine, anche se tutto non rientrerà nell'ordine, ognuno, rinunciando, troverà una sua strada. Si ascoltano gli echi di certe scene scandinave da un matrimonio. Con dei contorni, però, meno lineari. Intanto quel paralitico prima pieno d'odio nei confronti del mondo, in seguito più incline ad accettare. Poi quella coincidenza della moglie del medico, causa, sia pur involontaria, dell'incidente, e pronta a coinvolgere il marito in incontri destinati a diventare rischiosi. Con il corollario della famiglia dei due in cui c'è una figlia adolescente furiosa per i tradimenti del padre. Però i personaggi hanno sempre una loro logica, studiata da vicino, e i modi di rappresentazione, in linea appunto con i canoni di Dogma 95, fanno sempre vero, con una autenticità e una immediatezza che riescono a far entrare lo spettatore nella storia,come se vi partecipasse. Vi concorrono gli interpreti. A noi quasi ignoti, ma sempre all'altezza. G. L. R.

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