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«IO PENSO CHE...»

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..».Non nascondeva i suoi dubbi sul nuovo business del cinema americano, Gregory Peck. Nessun dubbio, invece, sul fatto che, come diceva, «la stagione d'oro di Hollywood è finita per sempre. Non c'è più, oggi, un vero divo del cinema». «Alla mia età penso che avrei potuto fare di più: non è frustrazione, ma pensi che avresti potuto trovare una cura per il cancro o portare la pace nel mondo. Penso di essere stato un buon intrattenitore e aver fatto alcuni bei film. Non mi sembra di aver fatto un gran che». Understatement e impegno discreto furono le caratteristiche dell'«uomo in grigio» Gregory Peck. Una vita normale, senza scandali nè pettegolezzi, un matrimonio in piedi per quasi 50 anni (dopo un unico divorzio), una famiglia quasi modello: ecco perchè dichiarazioni e aneddoti gustosi non furono mai molti, come dimostrò anche «A Conversation with Gregory Peck», il documentario di Barbara Kopple, presentato fuori concorso nella selezione ufficiale di Cannes nel 2000. Lì, non a caso, il solo momento di autentica emozione arrivò quando si parlava del suicidio del primo dei suoi cinque figli, che si sparò a trent'anni: «Ho sempre pensato - dice Peck nel documentario - che se gli fossi stato più vicino quando era piccolo forse lo avrei reso più sicuro». Pochi i giudizi anche sui colleghi, con l'unica eccezione di Audrey Hepburn: «Come lei non c'è stato niente nè prime nè dopo. Era una principessa in "Vacanze romane"; nella vita seppe diventare una regina». Infine: «Vorrei essere ricordato come buon padre e buon marito e poi come un buon narratore di storie che resistono al tempo. Mi ritengo un uomo molto fortunato; ho sbagliato qualche scelta ma mi piace ancora fino in fondo il mio mestiere». C' è un film che rimpiange di non aver girato? gli chiedevano. E lui: «Mi offrirono la sceneggiatura di "Mezzogiorno di fuoco" e la rifiutai sentendo il personaggio simile ad altri già fatti. Gary Cooper ebbe meno dubbi e vinse un Oscar».

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