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Addio all'ultimo eroe di Hollywood

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Di serie, meditate qualità. L'esordio nel '44, in un film di Jacques Tourneur, «Tamara, figlia della steppa», un dramma un po' retorico costruito solo per sostenere i russi che stavano opponendosi ai nazisti. Bastò perché si scrivesse di Peck con simpatia: un viso leale, un po' angoloso, una mimica intensa. La sua era solo una parte di fianco ma gliene favorì subito due da protagonista in film che alimentarono presto con successo la sua fama: «Le chiavi del Paradiso» di John Stahl e «La valle del destino» di Tay Garnett. Con tali simpatie attorno che, per il secondo ottenne addirittura una candidatura all'Oscar, nonostante al suo fianco ci fossero Greer Garson che interpretava il personaggio di cui il suo si innamorava, Lionel Barrymore e Gladys Cooper. Così si fece avanti Hitchcock mettendogli vicino addirittura Ingrid Bergman nel celeberrimo «Spellbound», e cioè, in italiano, «Io ti salverò», e subito dopo la nostra Alida Valli nel «Caso Paradine», due felicissimi gialli carichi di suspense in cui Peck come malato di mente nel primo e come avvocato innamorato di una sua cliente assassina nel secondo, dava il meglio di sé tra le pieghe psicologiche complesse e perfino contorte. Con attentissima misura. Nessuna misura, invece, per seguire fedelmente le indicazioni di King Vidor regista nell'infuocato «Duello al sole», un western sanguigno prodotto da David O'Selznick che vi volle come protagonista Jennifer Jones, allora sua moglie. Il duello finale con lei tra le montagne, in equilibrio fra odio, amore e morte sembrò, alla Mostra di Venezia dove venne proposto, un po' troppo sopra le righe ma nulla tolse alla fama di Peck perché vi si imponeva con una maschera per lui insolita di «duro», con segni forti. Dopo King Vidor, Elia Kazan, per continuare la tradizione mai smentita di film con registi di fama. Il film fu «Barriera invisibile» e Peck vi sostenne con partecipazione la parte di un giornalista che, per indagare sull'antisemitismo di certi ambienti della società americana di allora (era il 1947), si fingeva ebreo, raccogliendo prove addirittura agghiaccianti. Gli mancava ancora però il personaggio romantico ed ecco così un altro grande regista, William Wyler, costruire per lui e per Audrey Hepburn quella festeggiatissima commedia sentimentale che fu «Vacanze romane», con quel binomio giornalista-principessa che fece epoca e che consentì appunto a Peck di aggiungere nuove sfumature alla variegata panoplia della sua recitazione; pur continuando a privilegiarvi gli accenti drammatici. Come in «Cielo di fuoco» di Henry King in cui dava vita a un generale d'aviazione sul fronte tedesco dal carattere duro e autoritario e nel «Romantico avventuriero», sempre di Henry King che lo prediligeva, nei panni di un cowboy coinvolto in un western complesso e problematico. Pronto di lì a un po', a tornare a farsi dirigere da Henry King sia nelle «Nevi del Chilimangiaro», un'avventura africana, con Susan Sarandon e Ava Gardner ripresa da Hemingway, sia in «Adorabile infedele» in cui, a fianco di Deborah Kerr che recitava la parte di Sheilah Graham, impersonava addirittura un Francis Scott Fitzgerald troppo votato all'alcool. Dopo un film solo per metà fantascientifico, «L'ultima spiaggia» di Stanley Kramer in cui, in un'Australia dopo l'esplosione di un'atomica, attendeva dolorosamente la morte a fianco di Ava Gardner, gli toccò il suo personaggio più celebrato, insieme con quello del capitano Achab nel grande «Moby Dick» di John Huston, l'avvocato antirazzista nel «Buio oltre la siepe» di Robert Mulligan, dove era anche un padre tutto sentimenti responsabili e forti. Lì espresse in modo così incisivo e con una tale varietà di sfumature drammatiche da meritarsi l'Oscar, con il plauso di tutti. In seguito, pur proseguendo con dignità una carriera senza ombre, non eguagliò più quella sua grande interpretazione. Io lo conobbì proprio in occasione della presentazione di quel film al Festival di Cannes del '

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