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di CARLO DE RISIO NEL profluvio di rievocazioni per il sessantennale degli eventi del 1943 ...

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..),un posto di rilievo spetta alla vicenda di Galeazzo Ciano. Genero di Mussolini (marito di Edda), ministro degli Esteri ad appena 33 anni, Ciano si assicurò un posto davanti al plotone di esecuzione per aver votato il 25 luglio, nel Gran Consiglio del fascismo, contro il dittatore-suocero. I tedeschi avevano un conto in sospeso con quel «ragazzo detestabile», come lo definì Hitler, e vollero vendicarsi. Ciano uscì da Palazzo Chigi, sede del ministero degli Esteri, sessant'anni fa dopo aver retto il dicastero per sette anni: la guerra era irrimediabilmente perduta. Al giornalista Orio Vergani il «generissimo» — cosí chiamato nei salotti della Roma bene — aveva confidato che dimettersi, nella prassi del regime, non era possibile: tutt'al più, si veniva «dimissionati» da Mussolini. Per evitare la bufera imminente Ciano avrebbe potuto farsi destinare come ambasciatore in una capitale neutrale, Madrid per esempio. Volle invece rimanere a Roma, come ambasciatore presso la Santa Sede, e vivere l'agonia del regime. Prima del dramma, ci fu anche tempo per episodi un po' buffi. Edda ne parla in un libro di ricordi. Quando Pio XII concesse una udienza privata al nuovo ambasciatore e alla sua famiglia, una serie di contrattempi rovinarono la giornata, facendo andare in bestia Galeazzo. La macchina di rappresentanza non si presentò all'ora stabilita in via Angelo Secchi, ai Parioli. Per cui Ciano, in grande uniforme di ambasciatore, dovette mettersi alla guida di una «Topolino», pigiandovi dentro la moglie, in abito lungo, e i tre bambini vocianti. Grigia e opprimente fu l'atmosfera nella sala del Gran Consiglio, quando venne l'ora del «redde rationem». Dino Grandi, primo firmatario dell'ordine del giorno che sfiduciava di fatto Mussolini, tentò di dissuadere Ciano dal sottoscrivere il documento. Grandi vedeva lontano; ma fu tutto inutile. Durante la seduta-fiume del Gran Consiglio, Ciano sarebbe andato oltre il segno, dicendo del suocero: «È come un cinghiale ferito; se non ci difendiamo, ci sbrana tutti». Scandalizzato il commento di Buffarini Guidi, un fedelissimo di Mussolini, che si sfogò con Carlo Scorza, segretario del partito: «Questo ha detto il signor Galeazzo, il figlio di Costanzo, il marito di Edda!». Durante i 45 giorni del governo Badoglio, temendo di essere arrestato, Ciano si rivolse ai tedeschi e la «pratica» relativa fu trattata da Eugen Dollmann, ufficiale delle SS. In casa Ciano, tramite per la fuga si presentò il capitano Erich Priebke. Il 23 agosto del 1943, su un aereo messo a disposizione, la famiglia Ciano si trasferì in Germania: Galeazzo era in una trappola mortale. Dopo la liberazione di Mussolini dalla prigione del Gran Sasso, il trasferimento di Ciano a Verona, il processo, la condanna a morte. La sua figura si presta a giudizi fortemente contrastanti. Fatuo e cinico, per alcuni; patriota per altri. Figlio del suo tempo, nel bene e nel male, Ciano si riscattò ampiamente affrontando la morte con grande coraggio.

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