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di ENRICO CAVALLOTTI L'ASCOLTO di Bach equivale ad una purificazione dello spirito.

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Non solo. Questa bellezza di carattere estetico pare, nel detto capolavoro, permearsi d'una sostanza non tanto religiosa quanto etica: il Bello e il Bene fusi in un'unica materia, sí che l'emozione, il rapimento che prova colui che ascolta, hanno del prodigioso: come se l'essere umano si avvertisse capace d'un sentimento di plenitudine, di serenità, d'estasi, tenuto fino ad allora per inimmaginabile. Anche le altre espressioni artistiche - la letteratura, l'architettura, il cinema, etc... - sono atte ad ingenerare tali stati d'animo previlegiati, ma certo si è che il linguaggio dei suoni, in virtú del proprio carattere asemantico ed universalistico, pare il segno ideale per conseguire tale effetto raro. La musica di Bach non è utopía, nemmeno semenza del futuro, bensí concreto sinolo d'ogni passato e d'ogni presente: superamento dell'immanenza e delle stesse categorie della storia. Valore assoluto e perenne dell'universa sacertà dell'arte. A siffatta visione s'informa anche la «Matthäuspassion», ove non si dà antinomia fra la possanza della ragione, che la governa pari ad una figura matematica, e l'afflato dell'imagine scolpita nel suono. Il messaggio evangelico qui s'intreccia, nel canto, all'apoteosi del linguaggio artistico che ha da quello ricevuto l'invito alla propria ragion d'essere: all'esplicazione dell'«Urgrund» o «causa prima». Eccellente la prestazione del Bach-Collegium di Stoccarda diretto dal competentissimo Helmut Rilling e sostenuta da un cast vocale d'impeccabile competenza stilistica. Molti consensi, non molti presenti, peggio per gli assenti.

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