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Academy, l'ora della riflessione

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Il regista Roman Polanski ha vinto a sorpresa l'Oscar per il miglior regista (dando una nuova delusione al favorito Martin Scorsese) mentre il protagonista Adrien Brody ha fatto registrare il risultato più inatteso, battendo i favoriti Jack Nicholson e Daniel Day-Lewis nel riconoscimento al miglior attore. La grande serata del film sull'Olocausto è stata completata dall'Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Non è stata quindi una serata totalmente trionfale per «Chicago», che pur partendo dal trampolino di ben tredici candidature è riuscito a conquistare solo due Oscar di primo piano: miglior film e migliore attrice non protagonista (una Catherine Zeta-Jones a pochi giorni dal parto) più altre quattro statuette minori. Renee Zellweger è stata sconfitta da Nicole Kidman («The Hours») nel premio per la miglior attrice. L'Oscar per il miglior attore non protagonista è andato al favorito Chris Cooper per «Il ladro di orchidee». Da notare che solo due film hanno conquistato più di due statuette: appunto «Chicago» con sei e «Il pianista» con tre. È stata una serata disastrosa per «Gangs of New York» (dieci candidature) che non è riuscito a vincere neanche una statuetta. Scorsese, nonostante l'intensa campagna della Miramax, è rimasto a bocca asciutta per la quarta volta. È andata male anche allo scenografo italiano Dante Ferretti, il favorito nella sua categoria, che è stato battuto per la settima volta (l'Oscar è andato alle scenografie di «Chicago»). La guerra in Iraq ha influenzato pesantemente la serata: dalla abolizione della pedana rossa ai colori più scuri degli abiti, dai distintivi con i simboli di pace indossati da molti attori alle numerose dichiarazioni sul conflitto in corso in Iraq. Il più battagliero è stato Michael Moore, premiato per il miglior documentario («Bowling for Columbine»), che ha accusato George Bush di «essere un presidente fittizio, eletto da risultati fittizi, che ci ha mandato in guerra per motivi fittizi»: la liberazione dell'Iraq è solo un pretesto per impossessarsi del petrolio. Moore, che si era portato sul palco gli altri documentaristi sconfitti, ha concluso il suo discorso con un «Vergognati, Bush, vergognati» che ha diviso la platea di celebrità del Teatro Kodak. Alcuni hanno applaudito, altri hanno fischiato. Molto più misurato l'appello di Adrien Brody, che ha vissuto una serata magica: oltre a vincere inaspettatamente l'Oscar per il miglior attore, ha baciato a lungo sulla bocca la presentatrice Halle Berry («è stato un impulso», ha spiegato poi ai giornalisti) scoppiando a piangere durante il suo discorso di ringraziamento. Ma tra le lacrime il protagonista del film sull'Olocausto è riuscito a trovare le parole giuste: «Questo film mi ha reso consapevole della tristezza e della disumanizzazione della gente durante una guerra. Chiunque in voi crediate, Dio o Allah, possa avere cura di voi e possiamo tutti quanti insieme pregare per una risoluzione pacifica e rapida». Steve Martin si è dimostrato un ottimo conduttore, mentre il regista Pedro Aldomovar, vincitore dell'Oscar per la miglior sceneggiatura originale di «Parla con lei», ha lanciato la sua frecciata a Bush invitando l'opinione pubblica a far sentire la sua voce «per la pace, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale». È stata una cerimonia piena di situazioni insolite: l'Oscar ad un ricercato (Polanski è fuggito dagli Usa nel 1978 mentre era processato per stupro di minorenne), l'Oscar ad un morto (Conrad Hall, autore della fotografia di «Era mio padre»), il pancione enorme della Zeta-Jones (giunta in Versace premaman), l'Oscar vinto da Eminem per la canzone del suo film «8 Mile», l'Oscar straniero a un film tedesco, «Nowhere in Africa

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