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Prokof'ev sotto il segno del sarcasmo

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A cinquant'anni dalla scomparsa una «maratona» pianistica all'Università di Roma

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Si ricorda domani la ricorrenza nell'Aula Magna dell'Università «La Sapienza» con la «Maratona Prokof'ev». La denominazione sportiveggiante sta a dire che il noto ed atletico pianista russo Alexander Toradze, seguito dal team dei suoi allievi compatrioti, affronterà del Nostro l'intero corpus delle «Sonate per pianoforte». Le quali non sono poca cosa, circa la cifra poetica e la definizione stilistica, nella produzione di un compositore che non possedette le formidabili tensioni ideali ed intellettuali di un Gustav Mahler, o la perspicacia artistica di uno Stravinskij, o la prodigiosa carica rivoluzionaria d'uno Schönberg, o la struggente pulsione lirica d'un Alban Berg: taluni dei padri della musica del Novecento; ma che, tuttavia, seppe forgiare il proprio linguaggio all'inconfutabile originalità d'un vibrante sentimento e d'un fantasticare estroso. Nelle pagine piú felici, vanta il suo copiosissimo e versatile catalogo la virtú d'una virile robustezza d'impianto e d'una cristallina veracità d'afflato; ma, viepiú, un'immediatezza e tersità di note che rendono presenti e vivi i suoi fantasmi poetici, alieni affatto dai travagli delle coeve avanguardie radicali della Mitteleuropa: dai garbugli cerebralistici di cui queste s'impregnavano, ghiottone ed anoressiche in uno. Cosí le Sinfonie, i Concerti per strumenti solisti, i Balletti, le summentovate Sonate per pianoforte, la cameristica, le opere di teatro, le musiche per i films dei leggendarî registi russi. Prokof'ev, com'è noto, aderì ai dettami estetico-ideologici del liberticida «Realismo socialista»: ambiva a viver tranquillo, né alla sua indole garbava la lotta politica. A sua discolpa, però, una parziale e schietta corrispondenza, nelle tendenze poetiche dell'autore, a quella dottrinaccia. La musica - asseriva - ha da esser melodiosa: d'una melodia chiara e semplice. Ed il compositore, massime quello sovietico, deve tener presente che nell'Urss il manufatto artistico si volge a milioni e milioni di persone: non già ad un manipolo d'esteti. A parere di Prokof'ev «le folle vogliono una grande musica: la musica dei grandi eventi, dei grandi amori, e vivide danze». E però súbito appresso l'artista corregge la rotta troppo furbacchiona: «Considero uno sbaglio per un compositore lo sforzo di semplificarsi. Ogni tentativo d'abbassarsi al livello dell'ascoltatore è un'inconscia disistima della sua maturità di questi e dello sviluppo dei suoi gusti». In vero, una sorvegliata iconoclastia del modernismo novecentesco si fonde mirabilmente, nell'opera prokofieviana, alla memoria ed agli echi della tradizione classica. Donde le derivano un equilibrio e una compostezza paradimmatici ed innovativi insieme. Dominante il senso della misura, il giuoco ardito ma punto dissacratorio della tonalità, la quale mira a provocare la piú aspra e ribelle dissonanza ma poi súbito rientra nell'àmbito dell'armonia dell'ottava. Un sistema sintattico che fa la scrittura di Prokof'ev famigliare insieme ed impreveduta. Non disvela l'arte del maestro russo contenuti abissali - del resto, quale musica del Novecento sí? - e però colpisce, ghermisce, graffia la sensibilità con la gagliarda aggressività della sua ritmica rovente ed ossessiva; coll'affilata gracilità delle sue linee melodiche e liriche che paiono rimpiangere, o magari beffeggiare, la lautezza cantabile della «Romantik»; colle tipiche trafitture d'un segno ch'espande ognora ironia e sarcasmo aspersi di grottesco. Già, v'ha in Prokof'ev un che del clown. La sua effigia.

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