il rischio
di Massimiliano Lenzi
25 Novembre 2019
Un popolo di poeti, santi e navigatori. Ma se chiuderanno le nostre fabbriche, come l’Ilva di Taranto ad esempio, dove navigheremo? E i nostri porti, che fine faranno? Su questo e sul tema del futuro dei porti italiani e della nostra industria abbiamo intervistato, buttando un’occhiata anche alla politica, Daniele Rossi, il presidente di Assoporti (l’Associazione dei porti italiani).
Cominciamo dalle note dolenti: se l’Ilva chiudesse quanto perderebbe il porto di Taranto?
«La movimentazione di merci nel porto di Taranto, che complessivamente è di circa sedici milioni di tonnellate, è fortemente condizionata dallo stabilimento Ilva che rappresenta oggi circa il 70-80% del traffico complessivo. Ovviamente in caso di chiusura o forte ridimensionamento dello stabilimento il porto dovrebbe avviare una razionalizzazione degli spazi per favorire l’ingresso di altre attività logistiche. Operazione non semplice perché le aree e le relative infrastrutture sono concepiti per i traffici attuali, quindi sarebbe necessario un importante lavoro di adeguamento ai nuovi utilizzi. Nuovi utilizzi che comunque devono essere individuati. Da tempo il presidente del porto di Taranto, Sergio Prete, è impegnato nella ricerca di opportunità di diversificazione delle attività portuali e l’investimento della azienda turca Ylport sul Molo polisettoriale è un primo importante risultato».
Quanti portuali rischierebbero il posto?
«Non lo so e la chiusura dell’Ilva è uno scenario che non...
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