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Torturata dal padre perché ama l'Italia

Giovane bengalese picchiata e riportata con l'inganno nel suo paese. Drammatica email a Il Tempo: "Sono prigioniera, aiutatemi a tornare a Roma"

Mary Tagliazucchi
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Cosa pensino e vogliano le donne in Bangladesh,dove il 52% delle ragazze si sposa ancor prima di aver compiuto 18 anni, è poca cosa per chi, di fatto, le vede più simili ad una dote da scambiare o un affare vantaggioso. Molte di loro vengono strappate, ancora piccolissime, dalla loro terra d'origine e portate qui in Italia,dove prima sono costrette a dimenticare le loro tradizioni e abitudini, poi dopo un lasso di tempo in cui diventano giovani donne e hanno fatto loro, il nostro modo di vivere, studiare e socializzare, nuovamente come fossero oggetti inanimati, le estirpano da quella che era diventata la loro vita. Una vita vissuta in totale libertà, prerogativa imprescindibile del nostro paese, ma che diventa pura utopia nel loro. È ciò che è accaduto a Sarah (nome di fantasia), una ragazza di 22 anni, originaria del Bangladesh che, stanca delle percosse quotidiane del padre, in un impeto di coraggio si è messa in contatto con Il Tempo, chiedendo di rendere nota la sua tragica vicenda per riuscire a tornare in quello che ormai sente il suo paese, l'Italia. Purtroppo come molte prima di lei, dopo aver vissuto per un lungo periodo a Roma, è stata riportata con l'inganno in Bangladesh dove da subito ha visto limitare la sua libertà. «Mi chiamo Sarah e chiedo aiuto dal Bangladesh. Nel 2001 all'età di 5 anni, sono stata portata in Italia, a Roma, grazie ad un visto familiare. Da subito ho frequentato le vostre scuole elementari per poi iscrivermi in una scuola media statale – racconta in un perfetto italiano nella dettagliata lettera - Alla fine della terza media i professori consigliarono d'iscrivermi al liceo linguistico, ma mio padre che aveva già ben altri piani per me,mi iscrisse in una scuola odontotecnica. Era il 2009 quando entusiasta e ancora all'oscuro di tutto,fremevo per iniziare a frequentarla. Ma ogni giorno mio padre inventava scuse e alla fine, in quella scuola non sono mai andata. Fu mia madre a dirmi la verità: non dovevo più andare a scuola per non frequentare la gente italiana». Da lì inizia il calvario di Sarah che, passando tutti i giorni a casa da sola, cominciò a soffrire di depressione. Grazie ad un'amica italiana contattò il Te- lefono Azzurro. «La psicologa dell'associazione mandò 2 operatori del servizio sociale a casa, senza dire che ero stata io a cercare loro. Spiegarono loro che mandarmi a scuola era obbligatorio anche per farmi integrare con gli italiani. In caso contrario, li avvisarono delle possibili conseguenze. Ma loro non temevano niente e nessuno. Odiavano la cultura italiana e non volevano che io vivessi a contatto con gli italiani. Ma ancora oggi io mi sento più italiana che bengalese». Ma con la scusa che i soldi per mantener- la non bastano più, il 1 marzo del 2012, all'età di 16 anni, i genitori le fecero un biglietto di sola andata per il suo paese d'origine. «Poco dopo portarono anche le mie sorelle più piccole,nate entrambe in Italia. Mio padre che lavora in Italia, tornò per le vacanze nel 2016 e alla mia richiesta di tornare, estremamente aggressivo, cominciò a picchiarmi. A forza di pugni, mi ruppe quasi la mandibola, poi mi conficcò le sue dita negli occhi e solo grazie ad un calcio ben asse- stato sono riuscita a difendermi e liberarmi. Se rimango qui mi sottometteranno e schiavizzeranno, dandomi in sposa a chi vogliono loro. Voglio andare via da qui, lontano da mio padre per tornare a vivere la mia vita libera in Italia». E, nelle foto inviateci da Sara, gli evidenti ematomi su braccia, collo e viso, confermano senza ombra di dubbio le ripetute percosse e violenze. Una testimonianza terribile che documenta, ancora una volta, un'arcaica "cultura". Talmente radicata in questi paesi che difficilmente potrà essere estirpata. 

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