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Giornata della donna, macché festa aboliamo l'8 marzo

La ricorrenza trasformata in piazzata segregazionista

Pietro De Leo
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Ma a che serve? A che serve questa giornata di follia uterina, dove la celebrazione della grazia, della bellezza, di quell'ossimoro vivente di fierezza e soavità connaturato alla donna trascende in uno starnazzare scomposto e vago di diritti, idolatria di quell'entità artificiale che è il genere? A che servono gli scioperi dei servizi pubblici, le grida, la rivendicazione vista come guerra culturale? Non c'entra nulla con la donna, quest'orgia di bruttura e città bloccate che vedremo oggi. E allora tanto vale abolirlo, quest'Otto Marzo. Perché non è la donna che si festeggia. Basta andare a leggersi il comunicato del comitato «Non una di meno», dove si inneggia allo «sciopero del lavoro produttivo e riproduttivo». L'essenza della donna madre viene respinta e schifata, nel sabba del contro-natura. In questo mondo isterico dove la mascolinità è reato morale e valori giusti e incontestabili, come la parità dei salari e la guerra ai maialoni dalle mani veloci alla Weinstein si trasforma in qualcosa di degenerato, in una jihad all'universo maschile e il ribaltamento delle cose. La donna si allaccia un pene di gomma e l'uomo si taglia le palle, (auto) condannato alla marginalità, arrendevole, impedito alla conquista e alla seduzione, soffocato da quel principio infame della “molestia percepita” (quando arriveremo alla molestia pensata, davvero sarà proprio da chiudersi in casa). E allora ecco che... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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