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Strage di Rigopiano, gli indagati ora sono 23. C'è anche l'ex prefetto di Pescara

Valeria Di Corrado
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C'è anche l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo tra i destinatari dei 23 avvisi di garanzia che da stamattina stanno notificando militari della forestale, del nucleo investigativo dei carabinieri, e polizia nell'ambito dell'inchiesta sulla tragedia dell'hotel Rigopiano, in cui sono morte 29 persone. Gli si addebitano responsabilità su omissioni nella gestione dell'emergenza maltempo e nel coordinamento dei soccorsi da parte della cabina di regia che era stata allestita nella prefettura. Solo 20 giorni fa Provolo ha lasciato il suo incarico per andare a svolgere le funzioni di direttore dell'Ufficio centrale ispettivo della Protezione civile a Roma. Tra i 17 nuovi indagati, che si sommano ai 6 già destinatari ad aprile di avvisi di garanzia, c'è anche il capo di gabinetto della prefettura Leonardo Bianco e la dirigente Ida De Cesaris, che il giorno della valanga coordinava la cabina di regia alla quale erano arrivate le telefonate di richiesta di soccorso per gli ospiti dell'albergo, clamorosamente sottovalutate. Le accuse contestate dalla procura di Pescara (a seconda delle posizioni) sono: omicidio plurimo colposo, lesioni personali colpose, disastro doloso, abuso d'ufficio, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e crollo di costruzione. Gli inquirenti hanno costruito la catena delle responsabilità, dagli abusi connessi aall'edificazione dell'hotel alle omissioni che potrebbero aver causato la tragedia. Ad esempio, se la strada provinciale per Rigopiano fosse stata libera dalla neve, chi si trovava nel resort a 4 stelle sarebbe potuto andare via prima che la valanga, intorno alle 17 dello scorso 18 gennaio, si abbattesse sulla struttura. Se coloro che avevano i poteri per farlo avessero assicurato le necessarie vie di fuga, non sarebbero morti 18 ospiti e 11 dipendenti. "Non hanno previsto, prevenuto e gestito i rischi connessi all'attività di una struttura alberghiera in zona di alta montagna a rischio isolamento per eventi atmosferici e valanghivi". Questa l'accusa contenuta nell'avviso di garanzia che già era stato recapitato ad aprile al sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, al presidente della provincia di Pescara Antonio Di Marco, al dirigente delegato alle Opere pubbliche Paolo D'Incecco, al responsabile della viabilità provinciale Mauro Di Blasio, al geometra comunale membro della commissione valanghe Enrico Colangeli e al direttore del resort Bruno Di Tommaso, contestando a tutti e sei i reati di omicidio plurimo colposo e lesioni colpose. Secondo i pm, gli indagati sono responsabili di una catena di omissioni: non aver predisposto i piani di intervento dei rischi connessi a condizioni meteorologiche avverse ed eventi valanghivi, "specie con riferimento – si legge nel capo di imputazione – al mantenimento di adeguate condizioni di viabilità per le strade costituenti accesso e corrispondenti vie di fuga di strutture ricettive alberghiere come l'Hotel Rigopiano". Così facendo, "non hanno impedito, anzi, hanno cagionato il decesso di 29 persone presenti all'interno della struttura, nonché lesioni personali ad almeno 8 ospiti e un dipendente". Eppure gli "alert" per evitare la tragedia c'erano. Sono le ore 6:51 del 17 gennaio 2017, ben 34 ore prima che la slavina si stacchi dalla montagna e precipitasse sul resort, quando il capo cantoniere responsabile della viabilità nella zona manda un sms a un dirigente della Provincia di Pescara per avvisarlo dell'indisponibilità di mezzi atti a sgomberare la strada di accesso all'albergo: "Ha chiamato l'hotel Rigopiano dicendomi che ha dei clienti. Io gli ho detto della situazione critica che abbiamo. Considera che non abbiamo Unimog, quindi all'occorrenza siamo senza turbina. Siamo sempre al buio. Fammi sapere". Insomma, già dalla mattina presto del giorno prima della tragedia, la Provincia e la direzione dell'albergo sapevano che se avesse continuato ancora a nevicare, la struttura sarebbe rimasta isolata, esattamente come era accaduto nel marzo del 2015. Anche il sindaco di Farindola era al corrente della bufera che si stava per scatenare nella zona. "Al fine di garantire la salvaguardia della popolazione e la riduzione di possibili disagi, si raccomanda alle amministrazioni comunali di contattare preventivamente le eventuali ditte convenzionate per lo sgombero neve, di verificare la disponibilità e l'efficienza dei mezzi e di mettere in atto ogni altra misura necessaria e prevista nei piani di emergenza e piani neve". Questa la comunicazione inoltrata dalla Protezione civile regionale il 17 gennaio sul numero di cellulare di Ilario Lacchetta e altri due dipendenti comunali. Il primo cittadino aveva dichiarato a "Il Tempo" di non aver ricevuto bollettini via fax o pec perché il municipio era isolato, a causa di problemi sulla linea elettrica. Ma questo avviso era arrivato direttamente sul suo telefono via sms. Per gli inquirenti, vista l'eccezionalità della precipitazione nevosa, Lacchetta avrebbe avuto l'obbligo di emettere un'ordinanza di sgombero dell'hotel già prima del 18 gennaio.

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