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Malato di Sla muore dopo la sedazione profonda: è il primo caso in Italia

Davide Di Santo
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Un sonno senza risveglio che fa sollevare ancora una volta il dibattito sulla "morte dolce". Un malato di Sla di Montebelluna, in provincia di Treviso, ha scelto la sedazione profonda (detta anche palliativa o terminale) per non soffrire durante gli ultimi giorni di vita, facendosi - di fatto - addormentare fino alla morte. Si tratta del primo caso in Italia: con pochi giorni di vita, il 70enne, malato da 5 anni, ha scelto di rifiutare qualsiasi trattamento, compresa la nutrizione artificiale. "Voglio dormire fino all'arrivo della morte, senza più soffrire", le parole di Dino Bettamin riportate dalla stampa locale. La richiesta ai sanitari è arrivata dopo l'ultima crisi respiratoria. Ma come si svolge la sedazione profonda e perché è diversa dall'eutanasia, ovvero la morte indotta, non permessa in Italia? Innanzitutto la condizione per il mantenimento della sedazione profonda è la presenza di un sintomo refrattario, che non può essere trattato altrimenti: nel caso del 70enne era la sua "angoscia incoercibile anche con farmaci e trattamenti psicologici", che riteneva non più gestibile. "Mio marito era lucido - racconta la moglie di Dino Bettamin - e ha fatto la sua scelta. Così dopo l'ultima grave crisi respiratoria è iniziato il suo cammino''.  E così nel caso dell'uomo di Montebelluna, di mestiere macellaio, prima è stato aumentato il dosaggio del sedativo che già il paziente prendeva e poi sono stati somministrati gli altri farmaci del protocollo. Il 70enne non ha tuttavia mai chiesto di spegnere il respiratore, anche se sarebbe consentito per legge. "Lo terrorizzava l'ipotesi di morire soffocato - ha spiegato l'infermiera - Ha optato per una scelta in linea con la legge, la bioetica e la sua grande fede". Ieri, dopo nove giorni sotto sedazione, l'uomo è morto.  In passato la Società italiana cure palliative e la Federazione cure palliative hanno diramato una nota per fare chiarezza sulle pratiche di sedazione profonda: "Ribadiamo con forza che nulla hanno a che fare con l'eutanasia o con il suicidio assistito pratiche terapeutiche che sono invece pienamente legittime e che vengono correttamente utilizzate per rispondere ai bisogni dei malati che si avviano alla fine della loro vita, quali la sedazione palliativa/terminale o la rimodulazione e la desistenza terapeutica nei confronti di trattamenti sproporzionati o futili rispetto alle condizioni cliniche del malato e alle sue aspettative prognostiche, o a quanto il paziente stesso legittimamente decide rispetto alle possibili scelte terapeutiche".

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