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La commercialista sigillata nell'armadio

Antonella Di Veroli venne trovata morta nella sua casa nell'aprile del '94 Per quel delitto non c'è ancora un colpevole. E le indagini sono ripartite

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Quarantasette anni, single, un paio di lunghe relazioni sfortunate con due uomini sposati. Forse non era una donna appagata, Antonella Di Veroli, consulente del lavoro romana dal piglio granitico: tuttavia aveva scelto di convivere con la sua vita dicotomica. Professionalmente vincente, ma con una vita sentimentale instabile. Una donna d'oggi, come tante altre: raziocinante ma con la fragilità di chi ha bisogno di farsi leggere le carte, di tanto in tanto. Abitudinaria, perché il vuoto viene riempito dalle consuetudini. Antonella Di Veroli viene uccisa il dieci aprile 1994 con un sacchetto di plastica che l'assassino le infila in testa, dopo averla ferita gravemente con due colpi di arma da fuoco di piccolo calibro, sparati mentre è a letto, nel suo pigiama celeste. Il suo killer la infila poi nell'armadio della camera da letto, sigillandone l'anta con del mastice. Il corpo della consulente verrà trovato il dodici aprile. Saranno due gli uomini sospettati di quel brutale omicidio, solo uno subirà tre processi ma sarà assolto anche in Cassazione il due luglio 2003. Un anno dopo l'indagato morirà per cause naturali. Mauro Valentini, scrittore di Pomezia, a venti anni dall'episodio, ha pubblicato alla fine del 2014 un libro inchiesta sulla morte di Antonella Di Veroli (40 passi-L'omicidio di Antonella Di Veroli, Sovera edizioni) nel quale ipotizza l'esistenza di un terzo uomo probabilmente conosciuto da poco ed un omicidio a sfondo passionale. L'omicidio Antonella Di Veroli abita nel quartiere residenziale di Talenti, a Roma, in via Domenico Oliva. E' una consulente del lavoro dalla personalità compiuta, non ha problemi economici, vive in un appartamento con scarse ambizioni estetiche, Il suo studio è stato collocato in una stanza della casa della madre, in via delle Pelagie. E' proprio la madre, l'undici aprile, a non vederla arrivare in ufficio. Capisce subito, con l'intuito di cui solo le madri sono dotate, che qualcosa di spiacevole sia successo. Avverte la sorella di Antonella, Carla. E' la stessa Carla ad entrare in casa della sorella alle venti dell'undici aprile. Tornerà il giorno seguente e non appena varcata la soglia avvertità un odore cattivo, ma sfumato. Poi la scoperta: un piede di Antonella che spunta dall'armadio dopo che l'anta è stata forzata in quanto sigillata con del mastice. L'autopsia dirà che Antonella è morta per asfissia nella notte del 10 aprile, dopo aver ingoiato del Roipnol (di cui non si trova traccia nel suo appartamento), al termine di una domenica cheaveva trascorso in casa di un'amica. La sera era tornata nella sua abitazione, aveva fatto una telefonata alle ventitré e poi più niente. Nessuno l'aveva più vista né sentita. Nessuno, nel suo palazzo, aveva sentito il rumore degli spari. Solo dei passi veloci davanti alla porta. Le indagini all'epoca si concentrarono su due uomini. Due uomini intorno ai quali gravitava la vita di Antonella. Perché al di là di quegli uomini, la sua vita non nascondeva segreti. Umberto Nardinocchi, l'ex amante Sessantatré anni, era stato il suo amante dal 1987 al 1991 ma anche il suo pigmalione, poi il suo socio. Un uomo molto più anziano di lei, sposato, con il quale il rapporto personale era sempre rimasto in un punto di confine tra la passione e l'amicizia. Non a caso la sera prima della sua morte, Antonella era andata a mangiare una pizza con Nardinocchi il quale riferì che dopo la pizza lui non si sentì bene tanto da salire in casa di Antonella e sdraiarsi sul suo letto per un'oretta. Di più: anche dopo la rottura della relazione loro erano andati in vacanza insieme ("come amici" dirà lui). E' Nardinocchi a tornare tre volte in due giorni, solo o in compagnia, nella casa della vittima fino alla scoperta del corpo, scoperta che fa proprio lui. Il collega viene sottoposto all'esame dello stub, il vecchio guanto di paraffina e - sorpresa - viene trovato positivo. Lui spiegherà di essere andato in un poligono di tiro pochi giorni prima. Vittorio Biffani: la grande passione Anche Vittorio Biffani, 50 anni fotografo, ammogliato pure lui, viene trovato positivo all'esame dello stub. Su di lui s'indirizzeranno gli inquirenti tanto da processarlo nei tre gradi di giudizio. Ma cosa c'entra quest'uomo, molto più piacente di Nardinocchi, con Antonella Di Veroli? Molto, c'entra. Perché nel febbraio del 1992, dopo aver conosciuto Antonella qualche mese prima, inizia un'appassionata relazione con lei, che si concluderà dopo la reazione della moglie di lui (fra strilli, minacce, liti furibonde) il ventisette luglio 1993. Antonella Di Veroli è "cotta", completamente e perdutamente innamorata. Tanto da prestare a Biffani 42 milioni, perché lui ha problemi economici. L'uomo ricambierà con un orologio d'oro, ricordo di suo padre, che lei indossa come fosse una fede nuziale. La rottura del legame lascerà Antonella Di Veroli spossata, triste ma anche impaurita. Perché continua a ricevere le telefonate della moglie di Biffani, che rivuole indietro l'orologio d'oro. Si ma forse Antonella chiede anche lei, qualcosa. Quei quarantadue milioni prestati e mai riavuti. Tutti questi elementi portano Biffani a giudizio: lui ha un movente solido e poi non ha saputo giustificare mai quello stub positivo anche se durante l'iter giudiziario si scoprirà che quello stub è un "falso", nel senso che è risultato dell'esame a cui è stata sottoposta un'altra persona. E allora? Il terzo uomo. Difficile credere sia mai esistito. Difficile credere che la verità sul delitto di Antonella Di Veroli varchi la soglia della sua vita "conosciuta". L'ipotesi di una terza passione viene alimentata dal fatto che il giorno di San Valentino la Di Veroli comprò non uno, ma due regali per altrettanti uomini. Ma l'iniziale che fece incidere su uno di essi fu la "E". Tutti pensano dunque ad un terzo uomo, ma se la "E" fosse stata solo l'iniziale di un nomignolo affettuoso? Il nomignolo affettuoso con il quale Antonella Di Veroli chiamava un uomo che conosceva bene? E chi potrebbe essere costui? Ipotesi che non serviranno a riaprire il caso, fra i "gialli" romani più misteriosi degli anni novanta, insieme al delitto di via Poma. Anche quello, un rebus difficile da decifrare. Boxettino 1) Dall'autopsia risulterà che Antonella Di Veroli ha ingerito del Roipnol, la sera del delitto, ma di questo farmaco in casa non viene trovata traccia. Boxettino 2) Chiunque l'abbia uccisa, non ha dovuto forzare porta o finestre. Chi ha ucciso la consulente del lavoro conosceva benissimo la vittima. Quarantasette anni, single, un paio di lunghe relazioni sfortunate con due uomini sposati. Forse non era una donna appagata, Antonella Di Veroli, consulente del lavoro romana dal piglio granitico: tuttavia aveva scelto di convivere con la sua vita dicotomica. Professionalmente vincente, ma con una vita sentimentale instabile. Una donna d'oggi, come tante altre: raziocinante ma con la fragilità di chi ha bisogno di farsi leggere le carte, di tanto in tanto. Abitudinaria, perché il vuoto viene riempito dalle consuetudini. Antonella Di Veroli viene uccisa il dieci aprile 1994 con un sacchetto di plastica che l'assassino le infila in testa, dopo averla ferita gravemente con due colpi di arma da fuoco di piccolo calibro, sparati mentre è a letto, nel suo pigiama celeste. Il suo killer la infila poi nell'armadio della camera da letto, sigillandone l'anta con del mastice. Il corpo della consulente verrà trovato il dodici aprile. Saranno due gli uomini sospettati di quel brutale omicidio, solo uno subirà tre processi ma sarà assolto anche in Cassazione il due luglio 2003. Un anno dopo l'indagato morirà per cause naturali. Mauro Valentini, scrittore di Pomezia, a venti anni dall'episodio, ha pubblicato alla fine del 2014 un libro inchiesta sulla morte di Antonella Di Veroli (40 passi-L'omicidio di Antonella Di Veroli, Sovera edizioni) nel quale ipotizza l'esistenza di un terzo uomo probabilmente conosciuto da poco ed un omicidio a sfondo passionale. L'OMICIDIO Antonella Di Veroli abita nel quartiere residenziale di Talenti, a Roma, in via Domenico Oliva. E' una consulente del lavoro dalla personalità compiuta, non ha problemi economici, vive in un appartamento con scarse ambizioni estetiche, Il suo studio è stato collocato in una stanza della casa della madre, in via delle Pelagie. E' proprio la madre, l'undici aprile, a non vederla arrivare in ufficio. Capisce subito, con l'intuito di cui solo le madri sono dotate, che qualcosa di spiacevole sia successo. Avverte la sorella di Antonella, Carla. E' la stessa Carla ad entrare in casa della sorella alle venti dell'undici aprile. Tornerà il giorno seguente e non appena varcata la soglia avvertità un odore cattivo, ma sfumato. Poi la scoperta: un piede di Antonella che spunta dall'armadio dopo che l'anta è stata forzata in quanto sigillata con del mastice. L'autopsia dirà che Antonella è morta per asfissia nella notte del 10 aprile, dopo aver ingoiato del Roipnol (di cui non si trova traccia nel suo appartamento), al termine di una domenica cheaveva trascorso in casa di un'amica. La sera era tornata nella sua abitazione, aveva fatto una telefonata alle ventitré e poi più niente. Nessuno l'aveva più vista né sentita. Nessuno, nel suo palazzo, aveva sentito il rumore degli spari. Solo dei passi veloci davanti alla porta. Le indagini all'epoca si concentrarono su due uomini. Due uomini intorno ai quali gravitava la vita di Antonella. Perché al di là di quegli uomini, la sua vita non nascondeva segreti. L'EX AMANTE Sessantatré anni, era stato il suo amante dal 1987 al 1991 ma anche il suo pigmalione, poi il suo socio. Un uomo molto più anziano di lei, sposato, con il quale il rapporto personale era sempre rimasto in un punto di confine tra la passione e l'amicizia. Non a caso la sera prima della sua morte, Antonella era andata a mangiare una pizza con Nardinocchi il quale riferì che dopo la pizza lui non si sentì bene tanto da salire in casa di Antonella e sdraiarsi sul suo letto per un'oretta. Di più: anche dopo la rottura della relazione loro erano andati in vacanza insieme ("come amici" dirà lui). E' Nardinocchi a tornare tre volte in due giorni, solo o in compagnia, nella casa della vittima fino alla scoperta del corpo, scoperta che fa proprio lui. Il collega viene sottoposto all'esame dello stub, il vecchio guanto di paraffina e - sorpresa - viene trovato positivo. Lui spiegherà di essere andato in un poligono di tiro pochi giorni prima. LA GRANDE PASSIONE Anche Vittorio Biffani, 50 anni fotografo, ammogliato pure lui, viene trovato positivo all'esame dello stub. Su di lui s'indirizzeranno gli inquirenti tanto da processarlo nei tre gradi di giudizio. Ma cosa c'entra quest'uomo, molto più piacente di Nardinocchi, con Antonella Di Veroli? Molto, c'entra. Perché nel febbraio del 1992, dopo aver conosciuto Antonella qualche mese prima, inizia un'appassionata relazione con lei, che si concluderà dopo la reazione della moglie di lui (fra strilli, minacce, liti furibonde) il ventisette luglio 1993. Antonella Di Veroli è "cotta", completamente e perdutamente innamorata. Tanto da prestare a Biffani 42 milioni, perché lui ha problemi economici. L'uomo ricambierà con un orologio d'oro, ricordo di suo padre, che lei indossa come fosse una fede nuziale. La rottura del legame lascerà Antonella Di Veroli spossata, triste ma anche impaurita. Perché continua a ricevere le telefonate della moglie di Biffani, che rivuole indietro l'orologio d'oro. Si ma forse Antonella chiede anche lei, qualcosa. Quei quarantadue milioni prestati e mai riavuti. Tutti questi elementi portano Biffani a giudizio: lui ha un movente solido e poi non ha saputo giustificare mai quello stub positivo anche se durante l'iter giudiziario si scoprirà che quello stub è un "falso", nel senso che è risultato dell'esame a cui è stata sottoposta un'altra persona. E allora? IL TERZO UOMO Difficile credere sia mai esistito. Difficile credere che la verità sul delitto di Antonella Di Veroli varchi la soglia della sua vita "conosciuta". L'ipotesi di una terza passione viene alimentata dal fatto che il giorno di San Valentino la Di Veroli comprò non uno, ma due regali per altrettanti uomini. Ma l'iniziale che fece incidere su uno di essi fu la "E". Tutti pensano dunque ad un terzo uomo, ma se la "E" fosse stata solo l'iniziale di un nomignolo affettuoso? Il nomignolo affettuoso con il quale Antonella Di Veroli chiamava un uomo che conosceva bene? E chi potrebbe essere costui? Ipotesi che non serviranno a riaprire il caso, fra i "gialli" romani più misteriosi degli anni novanta, insieme al delitto di via Poma. Anche quello, un rebus difficile da decifrare. Dall'autopsia risulterà che Antonella Di Veroli ha ingerito del Roipnol, la sera del delitto, ma di questo farmaco in casa non viene trovata traccia. Chiunque l'abbia uccisa, non ha dovuto forzare porta o finestre. Chi ha ucciso la consulente del lavoro conosceva benissimo la vittima.

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