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Il rischio di Di Battista: fare il Fini all'incontrario

Piacerà a quelli che vogliono la fine del governo Conte. Ma che poi votano altri partiti

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Sono nato nel 1980 ad Avellino, terra di smisurate passioni calcistiche, ottimi vini e dinosauri della politica. Dal 2006 vivo a Roma e due anni dopo ho cominciato a scrivere per “Il Tempo”. Di politica e dei suddetti dinosauri. Mi piace raccontare tutto ciò che gravita intorno al “Palazzo”, grandi ideali e piccole miserie umane. Alcune delle storie in cui mi sono imbattuto le ho poi raccolte in un libro: “State sereni. L'Italia è una Repubblica fondata sul tradimento”. Si parlava, manco a dirlo, di voltagabbana. Amo la musica, il cinema e la letteratura. Odio chi ha solo certezze, stimo chi semina dubbi. Se ne cercate qualcuno siete i benvenuti a Velenitaly

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Alessandro Di Battista non ha solo una, ma almeno cento ragioni per chiedere un congresso nel Movimento 5 stelle. E ha anche coraggio nel chiamare con il suo nome - congresso, appunto - l'assise che dovrà determinare la nuova linea politica del Movimento, senza cercare quelle assurde locuzioni tanto care ai grillini per evitare di assimilarsi alla "vecchia politica".

Non si capisce perché, in un Paese in cui ormai a breve si tornerà al cinema, al mare, a giocare a calcetto, lo stato d'emergenza debba permanere nella forza politica che detiene la maggioranza in Parlamento e debba paralizzarne le decisioni. O, in alternativa, non si capisce perché Luigi Di Maio abbia rassegnato le dimissioni da capo politico se poi le tenta tutte per evitare che il potere passi ad altri.

Il punto, però, è un altro. E cioè chiedersi a chi Di Battista rivolga il suo messaggio. Apparentemente, il suo target è chiaro: il vecchio elettore dei 5 stelle. Quello antisistema, che contestava l'Europa, che voleva riconvertire l'Ilva in un parco ambientale, che vuole togliere le concessioni autostradali ai Benetton, che dice no al completamento della Tav.

Questo tipo di elettore esiste tuttora. Ma è davvero ancora intercettabile dal Movimento 5 stelle? Oggi quello che una volta era il compatto popolo grillino si è diviso in due tronconi. Uno ha sposato in tutto e per tutto l'attività di Giuseppe Conte, e vive con terrore la possibilità che Di Battista prenda il potere nel Movimento e faccia cadere il governo proprio mentre questo è impegnato a progettare, con le risorse europee, il futuro dell'Italia.

L'altro troncone, invece, ha mollato a poco a poco i Cinquestelle dopo le elezioni del 2018 e soprattutto dopo l'accordo col Pd, ricollocandosi in due partiti che, probabilmente, interpretavano con più coerenza le istanze antieuropeiste. In una prima fase la Lega di Salvini, più recentemente i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

Come si comporterà questo tipo di elettorato di fronte alla discesa in campo di Di Battista? E' facile che guardi con simpatia al "politico-reporter" romano proprio per il ruolo che recita al momento, quello di picconatore del governo Conte. Ma è improbabile che questa simpatia si trasformi in voti al momento delle elezioni, che spinga gli ex grillini diventati "sovranisti" a fare il percorso inverso. Un po' come accadde a Gianfranco Fini, esaltato da certa sinistra in funzione antiberlusconiana ma poi, ovviamente, abbandonato al proprio destino nelle urne.

Il rischio, per Di Battista, è proprio questo: piacere a tanti, essere votato da pochi.

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