Vaticano, parla monsignor Georg Gänswein: "La mia verità su tre Papi"
Da Benedetto XVI a Leone XIV passando per Francesco. L'ex segretario e uomo di fiducia di Ratzinger, "cacciato" dal Vaticano da Bergoglio, svela segreti della Santa Sede: dalle registrazioni non autorizzate alle profezie poi avverate
È quasi surreale incontrare Monsignor Georg Gänswein in un salottino riservato solo a noi due a Casa Santa Marta, il luogo dove per dodici anni ha vissuto - e dov’è morto - Papa Francesco, da cui l’ex segretario e uomo di fiducia del cardinale Joseph Ratzinger prima e Benedetto XVI poi è stato incompreso, cacciato malamente dal Vaticano e forse anche un po’ vilipeso. In questa sorta di albergo, ristrutturato sotto il pontificato di Wojtyla per accogliere i cardinali durante i conclavi, negli ultimi anni dell’era bergogliana mons. Gänswein era considerato un nemico, e perciò un ospite indesiderato. Eppure, oggi l’attuale Nunzio Apostolico nelle Repubbliche Baltiche è sereno, sorridente, come se quell’angosciante periodo seguito alla morte del «suo Papa» fosse solo un lontano ricordo. E allora tanto vale togliersi subito il dente e fare chiarezza sugli ultimi tre anni.
Eccellenza, è vero, come qualcuno ha scritto, che Lei e Papa Francesco vi eravate riconciliati prima della sua morte?
«Riconciliazione è forse un termine esagerato. Come lei sa, non appena furono terminati i funerali di Benedetto XVI, Papa Francesco decise che sarei dovuto immediatamente tornare nella mia diocesi d’origine, Friburgo. Tuttavia, cosa del tutto inconsueta per il segretario di un pontefice defunto, non mi venne assegnato alcun incarico. Anche alcuni personaggi non proprio amici mi confidarono che in effetti quel trattamento nei miei riguardi era stato esageratamente duro. Un anno dopo, il 31 dicembre 2023, in occasione del primo anniversario della morte di Benedetto XVI, venni a Roma per celebrare una Messa all’altare della Cattedra di San Pietro e un’altra nei pressi della sua tomba, nelle Grotte Vaticane. Fu una delle Memores Domini (le religiose laiche che hanno accudito Joseph Ratzinger per tutto il pontificato e fino alla sua morte n.d.r.) a consigliarmi di chiedere udienza al Papa, ma avevo deciso di rimanere solo due giorni e la cosa mi sembrava difficile da realizzare. Comunque ci pensai una notte e l’indomani chiesi d’incontrare Francesco.
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L’udienza fu subito accordata e con me vennero anche le quattro Memores. Appena seduti il Papa mi chiese: "Come si trova a Friburgo?". Risposi con franchezza: "Male Santità, dopo tutti questi anni di intensa attività il non far nulla mi fa male al cuore, all’anima e allo spirito". Bergoglio mi disse che ci avrebbe riflettuto, ma di fare una piccola relazione su quanto ci eravamo detti da consegnare in Segreteria di Stato. Così feci e dopo qualche mese mi fu comunicato che Papa Francesco aveva deciso di assegnarmi una Nunziatura».
Un’esperienza, tra l’altro, per Lei del tutto nuova e in una sede, quella che comprende le tre Repubbliche Baltiche - Lituania, Estonia e Lettonia - assai delicata soprattutto negli ultimi tempi.
«In effetti io non ho frequentato l’Accademia Ecclesiastica che forma i diplomatici della Santa Sede, la mia è una formazione canonistica, ma essendo stato per sette anni accanto ad un pontefice e per altri nove Prefetto della Casa Pontificia ho avuto modo d’incontrare quasi tutti i grandi della Terra e capire un po’ le dinamiche della diplomazia internazionale. Ho comunque accettato la sfida con gioia e spirito di servizio».
Che aria si respira nei Paesi Baltici, con una guerra a pochi passi e la Russia di Putin che potrebbe ampliare ulteriormente le sue mire espansionistiche?
«Io vivo a Vilnius, in Lituania, perché delle tre Nazioni che compongono la sede diplomatica della Santa Sede è la principale e soprattutto quella con la maggiore percentuale di cattolici, circa l’80% stando alle statistiche. In Lettonia sono circa il 25% mentre in Estonia solo ottomila, meno dell’uno per cento della popolazione totale. Nella politica attuale dei tre Stati c’è una palpabile preoccupazione, certamente una sorta di angoscia che sopisce una fatidica domanda: saremo noi i prossimi? Tuttavia, nonostante le minacce e spesso siano stati chiusi anche alcuni spazi aerei, tutte e tre le popolazioni cercano di reagire con forza e determinazione, andando avanti senza pensare al peggio».
In questi giorni Lei è sceso a Roma per alcuni appuntamenti importanti: la presentazione del secondo volume di prediche inedite di Benedetto XVI da Papa Emerito, la cerimonia di consegna dell’annuale Premio Ratzinger e un’udienza speciale, quella con Leone XIV. Partiamo dal libro, il cui titolo «Dio è la vera realtà» riassume tutta la vita ed il pensiero di Benedetto. Come nasce l’idea di questa raccolta?
«Joseph Ratzinger ha sempre continuato a predicare, anche da Papa Emerito. Lo faceva al Monastero Mater Ecclesiae, il luogo in cui si era ritirato dopo la Rinuncia e dove con lui vivevamo anch’io e le quattro Memores. Talvolta lo faceva solo alla nostra presenza, in altre occasioni c’erano degli ospiti invitati da lui stesso.
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Ogni domenica, dal 2013 alla fine del 2018, quando la sua voce si era cominciata ad affievolire sempre di più, Papa Benedetto predicava e forse in quegli anni ha pronunciato le sue omelie e prediche più belle e significative. Con le Memores abbiamo ritenuto opportuno registrarle, ma Benedetto XVI non lo ha mai saputo».
Lei mi sta dicendo che registravate le prediche del Papa Emerito a sua insaputa?
«Esattamente. Volevamo che quelle meravigliose omelie, quelle toccanti prediche non andassero perdute e per anni, ogni domenica, le abbiamo registrate. Le Memores, con instancabile e certosino lavoro, le hanno poi pian piano sbobinate e riversate su diversi file. Quando Padre Federico Lombardi, Presidente della Fondazione Ratzinger, lo è venuto a sapere, mi ha chiesto cosa volessimo farne. A quel punto sono stato io a chiedere a lui: mi dica lei cosa volete farne voi, intendendo ovviamente la Fondazione. E così, grazie a lui e Lorenzo Fazzini è nata l’idea di pubblicarle; lo scorso anno è uscito il primo volume e in questi giorni il secondo che, come lei ricordava poco fa, racchiude un po’ tutto il pensiero di Joseph Ratzinger: Dio è la vera realtà».
Qualche giorno fa ho riletto una lezione dell’allora cardinale Ratzinger tenuta il 13 maggio 2004 il cui titolo appare profetico: «L’odio di sé dell’Occidente». In un passaggio di quella lectio magistralis il futuro pontefice affermò che «l’Occidente tenta di aprirsi in maniera lodevole alla comprensione e ai valori esterni ma non ama più sé stesso e della propria storia vede ormai solo ciò che è deprecabile e distruttivo, non essendo più in grado di percepire ciò che è grande e puro». Ma ancora più attuale, rileggendo quelle parole ventun anni dopo, è il passaggio in cui il cardinale disse: «L’Europa per sopravvivere ha bisogno di una nuova, certamente critica e umile, accettazione di sé stessa» aggiungendo che «la multiculturalità che viene continuamente incoraggiata e favorita non può sussistere senza punti di orientamento a partire dai valori propri e certamente non può esistere senza rispetto di ciò che è sacro». Sembra un discorso pronunciato oggi.
«È vero, ancora oggi quella lezione, che ricordo benissimo, è di strettissima attualità. Lei ha ragione quando afferma che Joseph Ratzinger è stato spesso profetico e non solo negli ultimi decenni della sua vita, ma anche all’inizio della sua carriera da professore universitario pronunciava lezioni che, se rilette oggi, sono di un’attualità impressionante. Solo per fare un esempio, egli nel 1958 scrisse un articolo su una rivista tedesca di teologia dal titolo che in italiano potremmo tradurre con "I nuovi pagani": è una lettura chiara della lenta e inesorabile scristianizzazione dell’Europa che riletta a più di sessantacinque anni di distanza sembra descrivere la situazione attuale. Joseph Ratzinger è stato un uomo profetico per tutta la sua esistenza, aveva il dono d’interpretare in anticipo i mutamenti sociali e culturali come pochi altri».
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Quest’anno il premio che la Fondazione Ratzinger assegna ad illustri personalità nel campo scientifico, storico e culturale è stato conferito al Maestro Riccardo Muti, che poi ha diretto un bellissimo concerto alla presenza di Papa Leone XIV. Benedetto XVI ha amato per tutta la sua vita la musica classica e sotto il suo pontificato c’è stata anche una lodevole rinascita della musica sacra. Che rapporto aveva Joseph Ratzinger con la musica?
«Fin da bambino si può dire che egli abbia respirato l’aria mozartiana a pieni polmoni. In casa sua tutti suonavano uno strumento musicale e suo fratello Georg Ratzinger è stato un pregevole organista e direttore di coro. Joseph, invece, prediligeva il pianoforte, che ha suonato per tutta la vita finché le forze glielo hanno consentito. Per quanto riguarda la musica sacra Papa Benedetto la riteneva la forma e l’espressione più adatta, nobile e solenne per esplicitare e celebrare i misteri della fede. Teneva alla musica sacra esattamente come riteneva fondamentale una certa sacralità della Liturgia come segno di amore e rispetto verso Dio».
Effettivamente sotto il pontificato di Benedetto XVI la Liturgia aveva riacquisito quel senso di mistico, di sacro e di antico che poi, con il suo diretto successore, si è andato un po’ perdendo.
«Svelo a lei, forse per la prima volta in assoluto, quale fu una delle volontà tassative di Papa Benedetto quando si decise che, in futuro, noi collaboratori, il cardinale Müller e la Fondazione Ratzinger avremmo dovuto lavorare all’Opera Omnia dei suoi scritti: il primo volume ad uscire pretese che fosse quello dedicato alla Liturgia. Non quello sulla Teologia o l’altro dedicato all’Ecclesiologia, ma il volume sulla Liturgia. Questo la dice lunga su quanto egli ci tenesse».
Ho letto che Lei starebbe raccogliendo testimonianze e documenti per iniziare il processo di Beatificazione di Benedetto XVI, cosa c’è di vero?
«Già da tempo ho iniziato a ricevere tante mail e lettere contenenti testimonianze di episodi miracolosi avvenuti dopo aver pregato ed invocato il Papa Benedetto. Testimonianze che mi giungono da ogni parte del mondo, molto dettagliate ed accurate. Le sto conservando man mano che arrivano ma quando mi sono rivolto al Dicastero delle Cause dei Santi mi è stato risposto che non c’è nessun processo canonico aperto e quindi di pensare io stesso a raccogliere il materiale. D’altronde, in modo direi saggio, la Chiesa stabilisce che prima di poter aprire un processo canonico in tal senso è necessario attendere almeno cinque anni dalla morte del possibile Beato, salvo ovviamente deroghe decise espressamente e per insindacabile volontà del Sommo Pontefice».
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Quest’ultimo è il caso di Giovanni Paolo II e proprio Benedetto XVI decise di derogare a questa regola.
«Sì, il cardinale Stanislao Dziwisz, storico segretario di Papa Wojtyla, chiese a Papa Benedetto questa dispensa e Lui la concesse con gioia. D’altronde io stesso, per tutto il tempo che ho vissuto a fianco dell’allora Prefetto per la Dottrina della Fede, ho constatato con i miei occhi la santità di Giovanni Paolo II».
Lei ha vissuto ventotto anni a Roma, mi dica la verità, le manca la Città Eterna?
«Moltissimo. Dopo tanti anni vissuti qui mi sento, per così dire, “romanizzato”. Ho tanti ricordi a Roma: cose, persone, amici che mi mancano e vorrei vedere più spesso. Oggi il mio impegno diplomatico, seppure svolto solamente a tre ore di volo di distanza, non mi permette di venirci così spesso come vorrei. Un Nunzio Apostolico viene a Roma quando la Segreteria di Stato chiama o viene ricevuto in udienza ufficiale dal pontefice».
E con questo Lei stesso introduce la mia ultima domanda: venerdì mattina è stato ricevuto da Leone XIV in un’udienza ufficiale di tabella come Nunzio della Santa Sede. Non le chiederò ovviamente i temi discussi con il pontefice ma una sua impressione sul nuovo Papa mi piacerebbe averla.
«Fin dal primo momento, quando l’ho visto affacciarsi dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro per il suo primo discorso e la prima Benedizione Urbi et Orbi, ho avuto un’impressione sia visiva che acustica diversa da ciò a cui eravamo stati abituati negli ultimi dodici anni. Entrambe impressioni molto positive, ovviamente. Si è notato subito che qualcosa era davvero cambiato. Papa Leone emana serenità e pace e in questi primi sette mesi di pontificato ho notato che la centralità di Cristo è prepotentemente ritornata protagonista delle omelie e nelle parole del pastore universale della Chiesa».
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