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7 ottobre, la giornata della (S)memoria. L'anniversario del più terribile massacro dai tempi dell'Olocausto

Foto: Ansa

Tommaso Manni
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Spari, urla, fumo, sirene, razzi, strade bloccate da decine di auto, sangue, corpi ammucchiati uno sull’altro, mani che si cercano, parole urlate al telefono per chiedere aiuto o per mandare l’ultimo messaggio di amore ai propri cari. Notizie frammentarie, immagini rilanciate da Twitter e dai social di un orrore in atto di cui non si capisce subito la portata. Il 7 ottobre 2023 Israele si è svegliato in un incubo: all’alba migliaia di terroristi guidati da Hamas hanno lanciato un attacco contro la barriera difensiva a separazione con la Striscia di Gaza, danneggiato i sistemi di sorveglianza e attaccato le basi militari e le comunità civili al confine, sciamando nel sud del Paese. Tra gli obiettivi, anche il Nova Festival, un raduno di musica vicino Re’im che in quei giorni di festa, era Simchat Torah, una delle ultime festività del calendario ebraico dopo Rosh Hashana, Yom Kippur e Sukkot, aveva richiamato centinaia di giovani, riuniti a ballare sul prato, tra gli alberi, accampati in tenda. È stato il più terribile massacro di ebrei dai tempi della Shoah: in 1.200 sono stati uccisi, nella stragrande maggioranza israeliani ma anche lavoratori stranieri, principalmente asiatici, e 251 sono stati rapiti e trascinati, vivi o morti, nella Striscia di Gaza. Quarantotto di loro sono ancora lì.

È l’incubo che mai nessun ebreo avrebbe voluto rivivere. È l’orrore che il mondo non avrebbe mai più voluto vedere. Una folla armata che va a prendere la gente, casa per casa, massacra giovani, vecchi e bambini, devasta intere famiglie, ne divide altre, tra chi muore sul posto, chi sopravvive, chi viene portato via. Nessuno pensava potesse accadere in Israele, nato nel 1948 per mettere fine a millenni di persecuzioni dell’ebreo errante, dare a tutti una «casa» nazionale ed evitare che un popolo potesse nuovamente essere portato inerme al macello. Uno shock profondo dal quale il Paese non si è ancora ripreso, mentre continua a infuriare la guerra a Gaza, con un numero di morti palestinesi impossibile da sopportare e immagini devastanti che scuotono le coscienze. A due anni di distanza, una commissione d'inchiesta militare ha lavorato per mettere in fila le informazioni, per cercare di capire i come e i perché, per rintracciare e analizzare i fallimenti e imparare dagli errori. Come sia stato possibile che l’intelligence considerata tra le più efficienti al mondo non abbia avuto sentore di quello che ha sicuramente richiesto anni di preparativi; che le forze armate abbiano reagito in maniera scomposta e disorganizzata; che i terroristi abbiano scorrazzato per molte ore nel Paese prima che le autorità riuscissero a riprendere faticosamente il controllo della situazione.

Per una commissione d’inchiesta statale sugli errori della politica bisognerà invece ancora aspettare: il premier Benjamin Netanyahu ha sempre rinviato la questione a quando il Paese sarà tornato alla «pace». Un orizzonte che non si riesce a intravedere. Di quello che dopo due anni invece si ha contezza è l’entità del massacro, le efferatezze compiute, le violenze sessuali su donne e uomini. Ci sono prove forensi, immagini e filmati registrati dagli stessi terroristi con le GoPro o scaricate da telecamere di sicurezza. Ma anche testimonianze dirette, di chi è sopravvissuto o di chi è tornato dalla prigionia a Gaza. Un gruppo di esperte legali e di genere israeliane ha creato il Dinah Project per denunciare come Hamas abbia utilizzato la violenza sessuale come «parte di una deliberata strategia genocida» durante l’attacco e chiedere giustizia. Il rapporto si basa su una serie di prove, tra cui la testimonianza diretta di una sopravvissuta a un tentato stupro e di 15 ostaggi tornati da Gaza, nonché i resoconti di testimoni di aggressioni sessuali.

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