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Victor Fadlun, comunità ebraica romana: "Non cediamo al terrore"

Edoardo Romagnoli
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Parigi si è svegliata ieri con circa 60 stelle di David disegnate sulle mura di case, negozi e banche in cui vivono e lavorano cittadini ebrei nel 14esimo arrondissement. La procura di Parigi ha annunciato l’apertura di un’inchiesta per «danneggiamento di beni altrui a causa dell’origine, della razza, dell’etnia e della religione». L’episodio ha riportato alla mente quello che accadeva nella Germania nazista degli anni Trenta. Il Tempo ha intervistato il presidente della comunità ebraica di Roma Victor Fadlun.

«Quello che è successo a Parigi è qualcosa di tremendo che non avremmo mai voluto rivedere. È qualcosa di provocatorio che ricorda sicuramente gli avvenimenti più dolorosi per il popolo ebraico e si innesta perfettamente in questo intento di creare del terrore nelle persone. Sono atti di terrorismo».

 

Crede che in questa escalation di odio abbiano avuto un ruolo anche i media che stanno raccontando il conflitto israelo palestinese?
«Non so neanche se chiamarlo conflitto. Quello a cui abbiamo assistito sui social, messo in rete dai miliziani che hanno compiuto questi crimini, sono atti di barbarie che trovano la loro logica insana in un profondo odio anti ebraico. Quindi non hanno alcuna attinenza con questione politiche e quindi secondo me è questo il problema. Si cerca di incasellare, collocare questi eventi in una logica politica: due stati, i diritti dei due popoli, ma quello che sta accadendo non c’entra niente. Questi sono crimini legati all’antisemitismo, all’odio razziale».

Come crede che la comunità ebraica debba affrontare questa situazione?
«Chi ha colpito lo ha fatto con l’intento di creare paura per questo credo che usciremo da questa situazione solo avendo fiducia nelle istituzioni che a tutti gli effetti ci proteggono e stanno facendo il massimo e affrontando questo momento con serenità. Non dico di affrontare questa situazione in modo irresponsabile ma affrontarla sapendo che chi abbiamo davanti vuole proprio creare il terrore in quanto terrorista e quindi non dobbiamo cadere in questo tranello. Dobbiamo fare la nostra vita».

 

Tornando alle vicende italiane, com’è la situazione a Roma? Vi sentite tutelati dalle istituzioni?
«A Roma la comunità ebraica ha avuto manifestazioni di solidarietà da parte di tutte le istituzioni. Le forze dell’ordine stanno facendo il loro massimo per tutelarci e rendere la nostra vita il più possibile serena e di questo noi siamo davvero grati. Ci rende orgogliosi di essere italiani, è un sentimento che va al di là del rispetto della legge. Qui si sente davvero la solidarietà e la vicinanza di un intero Paese».

E dalla società civile?
«Percepisco solidarietà e vicinanza anche dalla società civile tranne quando viene detto: "Si condanna a tutti gli effetti quanto accaduto in Israele ma Israele ha i suoi torti. Quel "ma" stona perché sono convinto che non ci troviamo di fronte a fenomeni ascrivibili a una logica politica qui siamo di fronte a barbarie che nascono dall’odio razzista contro gli ebrei. Un odio che arriva ad assassinare con metodi cruenti e crudeli, decapitando bambini e bruciando le donne dopo averle stuprate».

Che cosa ha pensato quando durante la manifestazione pro Palestina a Roma è stata strappata la bandiera di Israele dalla sede della Fao?
«Questa è un’altra spia di questo problema. All’interno di chi manifesta per sostenere le ragioni di una parte ci sono elementi violenti ed elementi che rifiutano l’esistenza stessa di Israele e il diritto degli ebrei di viverci. Strappare una bandiera significa non riconoscere il diritto all’esistenza di un Paese. Se un Paese non ha diritto a esistere vuole dire che non ha diritto a difendere i suoi cittadini». 

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