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Monsignor Girasoli in casula leopardata: bufera e sfottò social, ma poi arriva la verità

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Monsignor Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Slovacchia, ha concelebrato la messa a Ruvo di Puglia (sua città d’origine nel barese), indossando una casula completamente leopardata. Non una preview della Milano fashion week, né un remake del personaggio Giuditta ne «Il piccolo diavolo» di Roberto Benigni, ma una messa in onore dei 40 anni di sacerdozio di don Salvatore Summo, parroco della concattedrale ruvese, celebrata il 7 settembre scorso assieme a Mons. Domenico Cornacchia, della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi. I commenti dei fedeli sui social si sono moltiplicati in poche ore, facendo diventare virali le foto pubblicate dai parrocchiani: «un prete tigre che lotta contro il male», hanno scritto facendo riferimento al cartone animato «L’uomo tigre», si è ironizzato sul «modello animalier alla Tarzan», che avrebbe reso gli «animalisti muti». Un look che avrebbe «reso invidiosa persino Crudelia Demon». 

 

 

Pochi coloro che l’hanno difeso ricordando l’outfit sfoggiato da Papa Francesco durante la sua visita in Mozambico: il 6 settembre 2019, allo stadio Zimpeto, a Maputo, incontrò un enorme numero di fedeli e, per l’occasione, la stoffa bianca della pianeta papale fu arricchita con inserti simil-pelle di giaguaro. A gettare acqua sul fuoco sulla vicenda di Mons. Girasoli è stata direttamente la Diocesi, che ha spiegato come la casula indossata «faccia parte della liturgia ufficiale dei popoli poveri africani di cui il celebrante si è sempre interessato nel suo mandato pastorale ed è stata indossata per ringraziare il Signore in merito alla costruzione di una casa per i più bisognosi di quei territori. Ci rendiamo conto che i commenti irrispettosi sono dovuti alla non conoscenza vi preghiamo di rettificare le interpretazioni non consone».

 

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