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Violenza Palermo, Paolo Crepet: "Il nodo è l'assenza della famiglia"

Elena Ricci
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Fatta ubriacare e poi abusata, ripetutamente, per diverse ore, da sette ragazzi tra i 17 e i 22 anni. L’orribile storia dello stupro di gruppo commesso a Palermo ai danni di una 19enne a luglio, filmata durante le violenze, porta a porsi degli interrogativi, a chiedersi il perché, dove sia l’errore. Su questo lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet non ha dubbi: raggiunto telefonicamente da Il Tempo, ha spiegato che la colpa è nella mancanza di educazione e nel fallimento delle istituzioni deputate a garantirla e, in tutto questo, giocano un ruolo fondamentale anche la famiglia e il contesto socioculturale attuale, oltre all’ambiente in cui si cresce.

 

«Provare attrazione sessuale, soprattutto nell’età in cui questa è normale per via dello sviluppo e della pubertà, non significa diventare stupratori. Se un ragazzo o una ragazza, oggi sono precoci dal punto di vista sessuale, non vuol dire che commettano violenza. Il problema della violenza è un altro, a questa ci si arriva mediante il condizionamento dell’ambiente famigliare e culturale che circonda i giovani: chi cresce in un ambiente sano e sereno ha sicuramente meno devianze violente rispetto a chi cresce in un contesto difficile». Crepet punta il dito contro il «liberi tutti» e l’assenza della famiglia nella vita dei giovani, sempre più assorbiti dai social, da tutto quello che questi propinano e dalla mania ossessiva di pubblicare qualsiasi cosa.

I ragazzi che hanno stuprato la 19enne a Palermo hanno filmato le violenze e dopo l’arresto, alcuni di loro hanno commentato anche la vicenda sui social a loro discolpa. Uno di loro, Christian Maronia, ha scritto di essersi rovinato la vita per essersi lasciato trascinare dal gruppo. Nelle chat WhatsApp successive alla violenza, si chiedevano come sarebbe stato se i loro nomi fossero apparsi nei notiziari nazionali: «Ma compà, ve lo immaginate se spuntiamo nel telegiornale? Nel telegiornale non ci spuntiamo?» scrivevano, assorbiti dall’idea di apparire e minimizzando i fatti, sostenendo che quanto accaduto fosse normale perché a loro dire, la 19enne sarebbe stata consenziente nel consumare un rapporto sessuale di gruppo.

 

«Oggi qualcuno forse si meraviglia della volgarità che circola in rete o dei testi dei nuovi musicisti intrisi di violenza? - si domanda Crepet – No, perché oggi la violenza e la volgarità fanno tendenza, soprattutto sui social e i social sono fonte di profitto. Potremmo tradurre tutto questo in un solo concetto: “mancanza di futuro”. Il futuro, l’identità i giovani la cercano sui social, con i followers, il traffico e i guadagni che questi generano e ovviamente genera più traffico un video in cui si pesta qualcuno o si abusa di una ragazza, anziché un video in cui un giovane declama una poesia o parla di cultura».

Una modernità che corre dunque, insieme alla quale corrono anche i giovani che vogliono sentirsi sempre più adulti. Infatti lo stesso Crepet, proprio sul punto, è uno dei prom o t o r i dell’idea di abbassare il raggiungimento della maggiore età a 16 anni. In una intervista sempre sulle nostre colonne disse infatti: «I ragazzini oggi conducono una vita da adulti e se vogliono fare gli adulti, come tali, è giusto che si assumano le loro responsabilità. Per questo è da tempo che propongo di portare la maggiore età a 16 anni e la punibilità penale a 12 anni anziché 14». Per arginare la violenza, secondo Crepet, si dovrebbe dire “no” a una molteplicità di cose: «Bisogna dire no alle droghe, alle mafie, ai cartelli sud americani, agli alcolici, ma in ballo ci sono troppi interessi, per la maggior parte economici, quindi è più comodo fare finta di nulla. Bisogna dire no anche a chi somministra e vende alcolici ai minorenni. L’altra sera in Puglia una quindicenne è finita in coma etilico, sicuramente non sarà stata l’unica in Italia. Quando ero ragazzo capitava di bere qualcosina alle feste, ma non sono mai tornato a casa a 4 zampe, oggi farsi la foto a 13 anni col drink e postarla sui social, fa figo, così come drogarsi o filmare una violenza di gruppo».

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