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Reddito di cittadinanza, il flop di Tridico tra controlli inefficaci e boom di "furbetti"

Edoardo Romagnoli
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 È finita l’era del reddito di cittadinanza, una misura nata con dei buoni propositi e finita con un enorme spreco di denaro pubblico. Per anni le cronache hanno riportato centinaia di storie di «furbetti» che percepivano il reddito indebitamente. Ma di chi è la colpa? Partiamo dall’inizio. Siamo alla fine del 2018 quando dal balcone di Palazzo Chigi l’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio si affaccia per esultare: «Ce l’abbiamo fatta». Il Movimento 5 Stelle aveva stanziato le risorse per finanziare il reddito di cittadinanza la misura con cui i grillini pensavano di aver «abolito la povertà».

 

La gestione del reddito viene affidata a Pasquale Tridico che con il decreto legge del 14 marzo 2019 viene nominato dal Conte I come presidente dell’ente previdenziale al posto di Tito Boeri. Da allora fra reddito e pensione di cittadinanza sono stati erogati quasi 20 miliardi di euro a circa 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone con un assegno medio di 552 euro. Il decreto legge del 28 gennaio 2019 n.4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019 n.26, parlava chiaro: «L’Inps verifica, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti per l’accesso al Rdc sulla base delle informazioni pertinenti disponibili nei propri archivi». In realtà sembrerebbe che l’Inps e il Ministero del Lavoro avessero introdotto un meccanismo del «solve et repete», ossia prima si paga poi si controlla. Condizione confermata dallo stesso Tridico che durante la presentazione del «Libro bianco» nel febbraio 2023 ha dichiarato: «Le verifiche sono state davvero lacunose, i controlli venivano fatti dopo. Bisognerebbe semplicemente non erogare il reddito di cittadinanza se prima non si sono fatti tutti i controlli previsti».

Non solo. Con una circolare, la n.43 del 20 marzo 2019, l’Inps comunicava che: «Nelle more del completamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, compete ai Comuni la verifica dei requisiti di residenza e di soggiorno per l’accesso al beneficio». Scaricando, in questo modo, sulle amministrazioni locali parte dei controlli. Le convenzioni arrivano, ma in ritardo rispetto all’entrata in vigore della misura. Quella con l’Aci, Automobile club d’Italia, è del 21 dicembre 2020, mentre quella con il Ministero di Grazia e Giustizia, viene firmata nel giugno 2022 e resa operativa a gennaio 2023. I controlli preventivi dell’Inps vengono previsti il 7 giugno 2022 con una direttiva del direttore generale; 3 anni dopo dal varo della misura. Nel frattempo però il reddito corre, anche nelle tasche di chi non ne aveva diritto, e contestualmente si impenna il gradimento del Movimento 5 Stelle. Dal percettore col Ferrari in garali passando dal «padre fantasma» che sosteneva di avere sei figli, mai avuti. Sono solo alcuni dei tantissimi casi balzati alle cronache. Nel frattempo il Movimento, soprattutto al Sud, vedeva un aumento sostanziale delle preferenze. Un dossier dell’Ufficio studi Confcommercio del 2022 mostrava come «se a parità di condizioni, mediamente la quota dei percettori crescesse dell’1% assoluto, la percentuale di voti al M5S crescerebbe del 2,4% assoluto»; cioè, per esempio, dal 10 al 12,4% se i percettori passassero dal 3 al 4% della popolazione totale di quella provincia. Ovviamente non si tratta di una correlazione diretta, ma di una serie di cause concomitanti in cui, oltre al reddito, concorre anche il disagio sociale. In pratica, nel sentimento dell’elettorato non pesa solo l’effettiva percezione del reddito ma anche quella potenziale.

 

Il Movimento 5 Stelle era percepito come una formazione politica impegnata nella lotta alla povertà per cui veniva votata anche da chi effettivamente non percepiva la misura di sostegno ma anche da chi sperava di poterla ottenere o da chi, senza i requisiti per averla, comunque optava per il voto ai grillini. In questa correlazione c’è chi ha voluto vederci anche qualcosa in più. In un esposto alla Corte dei Conti e alla Procura di Roma, risalente a un anno fa, si accusa il Ministero del Lavoro e l’Inps di aver «dolosamente omesso, in concorso fra di loro, di svolgere doverosi controlli ad essi attribuiti» per assicurare un’erogazione del reddito «a pioggia» in funzione di un «voto di scambio grillino». Non ci spingiamo a tanto, ma è comunque oggettivo notare come lì dove abitava il 60% dei percettori del reddito di cittadinanza: Campania, Sicilia, Lazio e Puglia; il Movimento 5 Stelle registrava un alto gradimento. Tridico ovviamente ha smentito i mancati controlli dichiarando come, fra quelli ex ante e quelli ex post, «l’Inps ha respinto 3,2 milioni di richieste per assenza dei requisiti». Dati però che non vengono confermati dal «Libro bianco» che l’ex numero uno dell’ente previdenziale ha presentato. Le domande respinte risultano infatti essere 1,7 milioni, quelle revocate sono 200 mila e quelle decadute 800 mila. Non solo, da un report dell’Arma dei carabinieri del 2021 risultano oltre 40 milioni di euro indebitamente percepiti. A fronte di 156,822 controllati sono state 9,247 le persone deferite all’Autorità giudiziaria per gravi irregolarità; quindi il 6% e non l’1% dichiarato da Tridico. Facendo le debite proporzioni su un totale di 4,65 milioni di persone che hanno percepito il reddito nei primi tre anni ci potrebbe essere 1,18 miliardi di euro indebitamente percepiti. A questo c’è da aggiungere il costo dei numerosi contenziosi che hanno intasato la giustizia penale. Nessuno nega l’importanza di sostenere le persone che versano in uno stato di indigenza ma l’esperienza del reddito di cittadinanza ci ha insegnato che se non mettiamo in campo una filiera di controllo degna di questo nome si rischia solo di buttare miliardi di soldi pubblici. 

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