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Sei consiglieri del Csm chiedono di difendere il Gip che ha imputato Delmastro

Luigi Frasca
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I sei consiglieri togati del Consiglio superiore della magistratura di Area definiscono «grave e ingiustificata» l’accusa rivolta dal governo alla giudice per le indagini preliminari del caso del sottosegretario Andrea Delmastro, chiedendo al Csm «l’apertura di una pratica a tutela» della dottoressa Emanuela Attura. Il riferimento è alle affermazioni riportata da fonti di Palazzo Chigi. Nella richiesta indirizzata al comitato di presidenza del Csm scrivono che la gip è stata «indebitamente accusata di appartenere ad una frangia della magistratura tacciata di svolgere un ruolo attivo di opposizione politica nei confronti del governo in carica, in vista della campagna elettorale per le prossime elezioni europee».

Secondo i consiglieri si «tratta di una grave e ingiustificata accusa di perseguire, tramite un provvedimento giudiziario, degli obiettivi politici, mettendo in discussione l’imparzialità della decisione e l’indipendenza della magistrata». I magistrati si riferiscono alla nota, firmata da «fonti di via Arenula», diramata dal Ministero della Giustizia sull’imputazione coatta disposta dal gip del tribunale di Roma nei confronti del sottosegretario alla Giustizia di Andrea Delmastro Delle Vedove per il caso Cospito.

Nella nota si leggeva come il caso «dimostra, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, l’irrazionalità del nostro sistema». E di come «nel processo che ne segue l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stesso. Nel processo accusatorio il Pubblico Ministero, che non è nè deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede. La grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude, infatti, con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio».

Sulla nota di via Arenula è tornato ieri anche il guardasigilli Carlo Nordio. «Io mi riconosco nella nota che abbiamo dato. Ribadisco che, da un punto di vista squisitamente tecnico, il codice Vassalli non ha portato alle estreme conseguenze del principio del processo accusatorio, che vuole il pm monopolista dell’azione penale. E ha lasciato al giudice la possibilità di quella che si chiama "imputazione coatta". Questo è in contrasto con i principi del processo accusatorio e secondo noi va riformato». Per poi specificare «finchè la legge c’è va applicata. Quindi non c’è nessuna stranezza nel fatto che vi sia un’imputazione coatta, così come è stata fatta. Non è un’anomalia. L’anomalia è nell’ordinamento. Ma è una cosa tecnica».

Una dichiarazione in contrasto con le parole che, sempre ieri, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva pronunciato da Vilnius dove era in corso il vertice della Nato. Nell’occasione la premier si era detta «colpita» dall’imputazione coattiva definendo la vicenda Delmastro come una questione «politica» visto che coinvolgeva un sottosegretario nell’esercizio delle proprie funzioni. «Ho chiesto quanti fossero i casi di imputazione coattiva nel nostro ordinamento, mi è stato risposto che sono irrilevanti sul piano statistico». Poi però aveva teso una mano ai magistrati cercando di spengere le polemiche. «Intendiamo mantenere gli impegni che abbiamo preso con gli italiani e non intendiamo farlo contro i magistrati ma insieme a loro». Anche Nordio vuole evitare lo scontro frontale. «Non ha senso parlare di contrapposizione odi attitudine punitiva nei confronti della magistratura, sono stato magistrato per 40 anni, figuriamoci se posso nutrire ostilità verso la magistratura».

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